
7.5
- Band: DISTRUZIONE
- Durata: 00:43:00
- Disponibile dal: 15/06/2015
- Etichetta:
- Jolly Roger Records
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Pur essendo stata costellata da pause e silenzi, la carriera dei Distruzione va sicuramente annoverata tra le più durature del panorama metal italiano. Quest’anno il gruppo emiliano festeggia infatti il venticinquesimo anniversario della propria fondazione. Il traguardo viene giustamente sottolineato con la pubblicazione di un nuovo album, il primo sotto l’egida della encomiabile Jolly Roger Records, etichetta sempre pronta a sostenere realtà storiche della scena tricolore. Con ogni lavoro in studio i Distruzione hanno sempre provato a proporre qualcosa di diverso e questo omonimo full-length non interrompe la suddetta tradizione; in effetti, si può dire che il sound del gruppo si sia indurito album dopo album e la nuovissima opera conferma la tesi. Dopo aver esplorato sonorità thrash metal molto robuste con l’ormai storico debutto “Endogena” (1996), i ragazzi si sono spostati verso un death-thrash dalle sfumature melodic death con i due dischi successivi; “Distruzione” segna quindi il definitivo passaggio al mondo death metal, con sonorità palesemente ispirate ad alcuni grandi capisaldi della vecchia scena svedese. Basta il trittico iniziale per comprendere la nuova formula della band: “Il Signore Delle Mosche”, “Verità e Autorità” e “Homo Mechanicus” aggrediscono con ritmiche serrate, chitarre slabbrate in odore di Dismember e pillole di melodia che invece strizzano l’occhio agli At The Gates; Unleashed ed Evocation sono quindi altri nomi che verranno alla mente agli ascoltatori più scafati. Insomma, il tutto si risolve in una celebrazione del classico suono swedish; una celebrazione che i Nostri riescono a rendere efficace e tutto sommato caratteristica grazie sia ad una indubbia padronanza del linguaggio musicale in oggetto, sia agli ormai tipici testi in italiano, che da sempre rendono la formazione immediatamente riconoscibile. In circa quaranta minuti i Distruzione inanellano una serie di brani poderosi ed euforici, ricchi di cambi di tempo e di riff facilmente memorizzabili. Una produzione un filo più calda avrebbe reso la musica ancora più incisiva, ma il tiro del songwriting è comunque fuori discussione: il gruppo costruisce i pezzi affidandosi di rado a progressioni banali, smorza la tensione accumulata negli uptempo con delle parentesi groovy ed è bravo ad architettare le ripartenze. I succitati testi sono poi tutt’altro che ordinari: proprio come quelli dei connazionali Cripple Bastards, essi meritano un’attenzione particolare e rappresentano a tutti gli effetti il valore aggiunto di una proposta già di per sè inequivocabilmente onesta e sentita. “Distruzione”, così come i suoi predecessori, ovviamente non assicurerà al quintetto chissà quale successo commerciale – condizione a cui Devid Roncai e compagni probabilmente nemmeno anelano – ma di certo rinsalderà il culto che un nugolo di fan e appassionati gli garantisce ormai da tempo.