8.5
- Band: DISTURBED
- Durata: 00:47:36
- Disponibile dal: 24/03/2000
- Etichetta:
- Warner Bros
- Distributore: Warner Bros
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Fine anni ’90, ovvero gli anni d’oro del nu-metal. Il successo ormai planetario di dischi come “Follow The Leader”, “Around The Fur”, “Significant Other” e “Chamber Music” riporta il metal in cima alle classifiche, spingendo le major di turno a mettere sotto contratto gruppi allora sconosciuti, ma destinati a lasciare il segno a cavallo del nuovo millennio. Tra questi, oltre ai vari Linkin Park, Incubus, Orgy, Slipknot, Staind, Hed P.E. e Static-X, un posto d’onore spetta ai Disturbed, formazione di Chicago nata nel 1994, ma consolidatasi nel 1997 con l’ingresso dietro al microfono di un certo David Draiman, considerato ancora oggi una delle voci più particolari di un genere che, almeno in quanto a cantanti, non è stato certo avaro di sodddisfazioni. Messi sotto contratto dalla Giant Records alla vigilia di uno show dei Ministry di quattordici anni fa, i quattro si chiudono in studio con il produttore Johnny K per registare “The Sickness”, tuttora considerato da molti l’apice creativo della loro discografia, per effetto di una vena claustrofobica che andrà sempre più scemando negli album a seguire. Ancora pesantemente influenzato da Korn, Tool e Rob Zombie, il disco evidenzia, già dall’opener “Voices”, quelli che saranno gli elementi fondativi del Disturbed sound, a partire dalla camaleontica voce del già citato Draiman, ivi compresa la sua timbrica ‘a singhiozzo’, e dall’alternanza del riffing stoppato/liquido di Dan Donegan, principale autore anche dei pattern elettronici. Elementi, questi, che caratterizzano anche la danzereccia “The Game” e la successiva “Stupify”, primo singolo estratto ed ennesima dimostrazione della poliedricità vocale del poco crinito singer, ben supportato da synth industrial e ritmiche sincopate, secondo la migliore tradizione del genere. L’apice del disco deve però ancora arrivare e risponde al nome di “Down With The Sickness” – probabilmente la canzone più nota dei Disturbed, per effetto degli innumerevoli utilizzi come colonna sonora di film/videogame ed entry theme dei più disparati sport, la cui atmosfera maligna parte con l’animalesco intro (‘Ooh-wah-ah-ah-ah’) e termina con un bridge carico di odio verso la madre, secondo solo all’altrettanto celebre “Daddy” dei Korn. A completare un lato A da Bibbia del nu-metal, troviamo “Violence Fetish” e “Fear”, due pezzi che, pur senza raggiungere i livelli dei quattro singoli, ben figurano all’interno della tracklist, a differenza delle più ripetitive “Numb” e “Want”. A risollevare le sorti del disco ci pensano, oltre alla ruscitissima cover dei Tears For Fears (“Shout 2000”), le altrettanto tamarre “Conflict” e “Droppin’ Plates”, in cui abbiamo modo di apprezzare a fondo il flow di Draiman e il basso slappato di Fuzz, prima dello psicotico finale affidato all’elettronica di “Meaning Of Life”, degna chiusura di un disco entrato di diritto tra i masterpiece del genere. Quattordici anni – e altrettanti milioni di copie vendute – dopo, possiamo dirlo con certezza: questi erano i veri Disturbati, quelli per cui la musica era una vera arma da fuoco, e non di plastica.