8.0
- Band: DOEDSMAGHIRD
- Durata: 00:49:12
- Disponibile dal: 11/10/2024
- Etichetta:
- Peaceville
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Yusaf Parvez, alias Vicotnik, alias Osama Bin Askeladden, alias Viper… e questi sono solo gli pseudonimi che ci ricordiamo al momento – necessari e sufficienti per introdurre il nuovo cambio di pelle di un musicista sempre pronto a reinventarsi e a sperimentare, che torna tra noi offrendoci in dono questi Doedsmaghird.
Il richiamo semantico alla sua band più famosa è evidente, ma non ci perderemo in riflessioni di questo tipo: ciò che conta è l’esito musicale, e “Omniverse Consciousness” è fedele al suo titolo, nella capacità di trasmetterci la percezione di universi che trascendono e si intersecano in maniera a volte affascinante, in altri momenti dissonante. Tutte le variegate esperienze musicali di Vicotnik trovano in qualche modo spazio in questo disco, senza per questo farlo suonare come un collage frastagliato dei suoi diversi mondi sonori.
C’è ovviamente la ragionata follia, a tratti rituale o persino etnica, dei Dødheimsgard, di cui peraltro si porta appresso il chitarrista live Camille Giraudeau; tuttavia passata attraverso il filtro, a tratti brutale, delle sue esperienze più propriamente black… a cui però non cede mai il passo con banalità: ci sono momenti feroci, vero, ma come ci ha abituato da anni, Vicotnik persegue una forma tutta sua, che travalica l’appartenenza alla seconda generazione o al post black, per divenire pura avanguardia.
Manca forse (o per fortuna…) il lato smaccatamente prog dei Ved Buens Ende, anche se l’epicità e la sperimentazione si incrociano in quasi tutti i brani, quasi a fare da specchio in negativo di quanto fu scritto sulle acque (per citare l’indimenticabile album di quella band).
E ancora la marzialità dei Manes, qui particolarmente evidente in una batteria che ci pare per buona parte, e con buon esito, campionata. Eppure, ed è forse in questo il vero salto di qualità di questo disco, si percepisce sempre una pulsione primordiale che, inevitabilmente, il genietto adottivo di Oslo non metteva in campo da tempo; ma per ribaltare il concetto stesso di spontaneità, vi accorgerete con il procedere degli ascolti che c’è un disegno, un crescendo, una sinfonia del caos che collega tra loro questi nove brani, ed è il motivo per cui non ve ne citiamo nessuno, né ci perdiamo in approfondimenti stilistici che – lo avrete capito più sopra – lascerebbero il tempo che trovano, e sarebbero solo parziali.
Lasciatevi solo avvolgere da questo viaggio attraverso il multiverso. Forse un viaggio ‘limitato’, perché è solo quello di un singolo musicista – ma che musicista.