7.5
- Band: (DOLCH)
- Durata: 00:50:22
- Disponibile dal: 15/11/2019
- Etichetta:
- Ván Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Si inserisce nella splendida ondata del dark rock-metal mitteleuropeo con voce femminile l’esordio su lunga distanza dei tedeschi (Dolch). Già nome di culto per chi segue questo filone underground, i misteriosi teutonici erano stati finora soprattutto ‘bestia’ da live, inquietante e altera, sottilmente incantatrice, soprattutto per via della giovane voce principale. Il primo album, frutto di lunga e meditata gestazione, tiene fede alle promesse dei concerti, regalandoci una tracklist di magnetica morbosità, da affiancare idealmente alle ultime opere di Dool e Gold, oppure dei Messa. Nomi a ben vedere dai sound diversissimi, mentre è possibile rintracciare in tutte e tre le formazioni un senso di mistero palpabile, una trasversalità e a volte lunaticità, quest’ultima tipicamente femminile, che rende ognuno di questi ensemble unico e caratteristico. L’idea di suono dei (Dolch), a dire il vero, è più criptica e ferale dei gruppi appena citati, cerca con ossessione la cupezza e ha nella reiterazione di tempi e riff uno dei suoi tratti fondanti.
“Feuer” è una monumentale cantilena, una collezione di nenie che svela in pieno l’intero pozzo di ansie in cui ci ha buttato col passare dei minuti. Un sottile, astuto, gioco di inganni, condotto da una vocalità aggraziata che come le sirene di Ulisse stordisce i sensi e irretisce, per consegnarci a pericoli mostruosi. Vi è nei (Dolch) una radice doom gracchiante e rumorosa che riporta alle prove degli Electric Wizard, una danza di streghe minacciosa che prende vita anche da rivoli darkwave e industrial. Mugolii e lamenti inondano di pece la nerissima “A Funeral Song”, centro focale e manifesto del pensiero della band. Arpeggiati lugubri fiancheggiano riff enormi e profondi, pervasi di un luttuoso sentimentalismo, amplificato da interventi di violino e dai mugolii vocali, brivido freddo che allontana qualsiasi luce dal disco. In “Psalm 7” si diffonde una speciale sensibilità neofolk, non una novità nel panorama doom con epicentro le terre germaniche, pur sempre qualcosa che si ascolta volentieri, quando l’intensità sale a questi notevoli livelli.
Il battito concentrico della batteria su cadenze uniformi e il languire nell’ambient di “Mahnmal” inabissano in profondità ancor più misteriose, avvicinando una volta per tutte “Feuer” ai mantra dei connazionali Urfaust, non a caso editi dalla medesima casa discografica, la Vàn Records. Un’impressione rafforzata dall’altrettanto sordida, angosciosa titletrack, composizione fatta apposta per mettere a disagio, farci guardare attorno con preoccupazione, certi che stia per accadere qualcosa di atroce di lì a poco. Se si dovesse riassumere in un solo aggettivo le qualità di “Feuer”, non potremmo che definirlo disturbante. È un orrore psicologico e un disagio latente quello che inocula, così forte da andare ben oltre all’immaginario evocato di solito dall’occult rock con voce femminile. Qui il clima è assai più greve e non induce all’incanto, piuttosto alla paura. Un esordio riuscito quindi e una promessa per altre sventure future.