7.5
- Band: (DOLCH)
- Durata: 00:50:43
- Disponibile dal: 04/02/2022
- Etichetta:
- Ván Records
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Un doom strascicato, sordido e ammorbante, era quanto in estrema sintesi presentavano i (Dolch) nel loro primo album “Feuer”. Un’idea sonora molto personale, quella della band tedesca, poco incline a misurarsi con ammaliamenti o seduzioni, piuttosto impegnata a descrivere, con dettagli sfumati, angoscianti esperienze di orrore psicologico. Una dimensione dalla quale paiono in buona parte staccarsi per il secondo album della trilogia cominciata, appunto, col primo full-length. Nella fase di mezzo della trilogia, spunta in declinazioni inattese questo “Nacht”. Le soffocanti angherie dell’album precedente sono rimembrate soltanto per il clima notturno, per la piega comunque buia e nient’affatto rassicurante che la musica va a prendere. Il metodo di coercizione scelto, la tecnica prediletta per inoculare la propria ombrosa emotività nel corso di una lunga notte, è invece ben altro. “Nacht” è un album solo in parte basato su uno spesso e plumbeo chitarrismo, mentre a dare sostanza, coloriture e nerbo alla narrazione sono i synth e una squadratura ritmica di impronta industrial.
Come molte formazioni di estrazione più o meno estrema, la tentazione alla darkwave ha impregnato anche i (Dolch). Ben volentieri la fanno trapelare, meglio, lasciano che inondi la musica, infondendo quell’aura impalpabile e sospesa che tali suoni possiedono. I movimenti sono lenti, narcolettici, con una pesantezza intrinseca rappresentata dal ruminare del basso e una non celata adorazione per le note basse. Feedback di sottofondo rimbombano e attutiscono la parziale assenza di una distorsione veemente, ancor più che nelle prove precedenti è il potere mesmerizzante delle linee vocali a focalizzare le attenzioni e conquistare. La circolarità delle strutture infonde un gradito effetto ipnotico, sottolineando a dismisura quella poetica, e un poco inquieta, aura notturna che dal titolo, alle atmosfere, ai testi, martella orecchie e mente. Ricca l’effettistica di contorno, ad integrare l’apparente minimalismo degli strumenti principali; gli stimoli uditivi arrivano da più parti, alcuni palesi, altri da rintracciarsi con pazienza.
Molti i momenti salienti in un album frammentario, che mostra personalità differenti del gruppo da un brano all’altro, passando da atmosfere quasi lievi (il singolo “Tonight”, “I Am Ok (Hydroxytryptamin Baby Part II)”), ad altre più livide e tese (“House Of Glass (Hydroxytryptamin Baby Part III)”, gli spigoli elettronici di “Bird Of Prey”). Il parziale ermetismo di “Feuer” si apre stavolta a spunti praticamente orecchiabili, seppur contornati da una pesantezza e un’ostilità non proprio nascoste: valga per tutte “Mercury”, non raro caso nella tracklist dove un refrain stentoreo e declamato a gran voce si prende la scena. Non manca una vena riflessiva piuttosto torbida in odore di neofolk, una strisciante influenza già presente nel DNA dei (Dolch) e tutt’ora capace di insinuarsi nel tessuto sonoro del disco, oppure dare il là a una dolente narrazione, come in “Ghost”. L’eterogeneità del lavoro poteva essere un poco ammansita, al fine di avere una scorrevolezza d’ascolto maggiore e una coesione interna che finisce invece per non esserci granché, soprattutto nella fase finale della tracklist. Detto questo, le qualità compositive e l’interpretazione non vanno mai a scadere, i (Dolch) hanno confezionato un degno successore di “Feuer” e si confermano ai piani alti delle sonorità plumbee, fuori dai generi e contaminate: che le vogliate chiamare doom o altro, poco importa.