8.0
- Band: DOOMSWORD
- Durata: 00:52:39
- Disponibile dal: 29/09/2003
- Etichetta:
- Dragonheart
- Distributore: Audioglobe
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Il combo italico giunge alla terza fatica discografica dopo il precedente “Resound The Horn”, disco che li ha consacrati come cult band nel panorama metal italiano. Innanzitutto, segnalo la presenza di Wrathlord (Ex Fiurach) alla batteria, che sostituisce più che degnamente il buon Grom. Il nuovo drummer dona maggiore varietà alle song, essendo dotato di uno stile meno monolitico e più vario del suo predecessore. Occorrono infatti parecchi ascolti per poter cogliere tutte le sfaccettature del platter, dotato di una produzione potente che valorizza il sound di tutti gli strumenti. Il singer Deathmaster, pur non essendo dotato di una voce cristallina, riesce alla grande nel compito di valorizzare al meglio le song qui presenti. Dal punto di vista squisitamente stilistico il sound del disco ricorda molto i fasti del buon Quorthon con Hammerheart, e le primissime produzioni dei Manowar e Manilla Road. Le canzoni sono dure, lunghe, e dotate di un rifferama lento e vigoroso, certamente non di facile ascolto, ma assolutamente valide come l’opener “Heathen Assault”, introdotta da un arpeggio di chitarra acustica seguito dal canto di guerra del buon Deathmaster, che poi esplode in un granitico riff di chitarra che ci riporta indietro di vent’anni, al tempo in cui le cult band del metallo più incontaminato tiravano fuori dal cilindro capolavori come “The Deluge” e “Into Glory Ride”. La successiva “In The Battlefield” è più dinamica della song precedente, dove si possono notare gli azzeccati stacchi di batteria di Wrathlord. “Wooden’s Reign” è una marcia di guerra strepitosa, valorizzata da un chorus tanto semplice quanto grandioso che non mancherà di far gioire i fan dell’epic metal più puro. La dura e doomy “Deathbringer”, unisce al meglio l’anima più dura della band, con la parte più epica, regalandoci un altro gioiello in un disco che non conosce cali di tono. “The Siege” è la track più intricata del disco, dove i riff di chitarra si intrecciano con la sezione ritmica, facendo sì che la canzone non risulti affatto noiosa, ma che ci conduca più di mille anni addietro nei campi di battaglia delle popolazioni nordiche. Le conclusive “Blood Eagle” e “My Name Will Live On”, non fanno altro che confermare lo stato di grazia di una band che sicuramente meriterebbe maggior successo di quanto ne abbia. Sono convinto che solo in futuro si valorizzerà come si deve il combo guidato da Deathmaster, un po’ come è successo ultimamente con i Manilla Road… non credete?