7.0
- Band: DOPETHRONE
- Durata: 00:39:20
- Disponibile dal: 24/05/2024
- Etichetta:
- Totem Cat Records
Spotify non ancora disponibile
Apple Music non ancora disponibile
Per chi ancora ritiene che, musicalmente, il Canada possa offrire ‘solo’ black metal dalle forti tinte atmosferiche o il mirabile mix di intensità e cervello dei sempreverdi Voivod, ecco tornare tra noi i Dopethrone, con la loro ventata di… beh, aria fresca decisamente no. Qui sono miasmi mefitici e ignoranza becera a farla da padrone, e va bene così.
“Broke Sabbath”, al di là dell’eterno omaggio agli Electric Wizard, fuga ogni possibile dubbio residuo sull’origine della loro musica; in particolare, la band dice di aver fatto un’overdose di “Vol. IV” nelle fasi di registrazione del disco, e sicuramente non è stato l’unico abuso a cui si sono esposti.
Come sempre, ci troviamo di fronte a un attacco sonoro marcio e insensato, nella migliore delle accezioni; il loro punto di forza, rispetto a tante band con cui condividono palchi e il variegate calderone sludge, è la capacità di seppellire riff accattivanti sotto una coltre di fuzz denso come il catrame, il tutto farcito da linee vocali quasi black, in un mix che, mai come a questo giro, fa pensare a una versione solo (un po’) rallentata dei Goatwhore.
L’alternanza nei brani di momenti che puntano più sulla ritmica forsennata con altri più riflessivi, o meglio allucinati, il classico ricorso a piccoli sample dal gusto cinematografico, l’approccio vocale spaccone – più rock n’roll che metal, al di là delle devastanti distorsioni – gli assoli quasi southern rock… tutto è fatto per strappare un sorriso senza prendersi troppo sul serio, ma questo non sminuisce il risultato complessivo.
Forse un paio di pezzi potevano ricevere una piccolo sforbiciata qua e là, in particolare, paradossalmente, quelli più brevi, dove certe divagazioni riducono un po’ l’impatto (“Shlaghammer”), mentre la pachidermica “Rock Slock”, pur superando gli otto minuti di durata, coniuga al meglio le diverse sfaccettature succitate. E visto che, alla fine, il risultato a cui si punta è far partire il disco, drogarsi a modo e, solo dopo qualche ora, rendersi conto che il piatto gira a vuoto, beh: mission accomplished.