DORMANT ORDEAL – The Grand Scheme of Things

Pubblicato il 07/12/2021 da
voto
8.0
  • Band: DORMANT ORDEAL
  • Durata: 00:39:30
  • Disponibile dal: 03/12/2021
  • Etichetta:
  • Selfmadegod Records

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Quando ormai ci eravamo dimenticati di loro, i Dormant Ordeal decidono di emergere dal torpore in cui erano caduti dopo la pubblicazione di “We Had It Coming” (2016) e consegnarci un terzo full-length semplicemente eccellente. Quaranta minuti di musica che reclamano a gran voce l’attenzione di chi vede nel metal estremo un flusso catartico al quale abbandonarsi per cercare rifugio da una quotidianità spesso tediosa e banale; un viaggio immaginifico che, similmente al paesaggio immortalato in copertina, esplora una Natura insieme maestosa e solitaria, fredda e inospitale, stanca degli interventi dell’uomo e del suo costante brusio di sottofondo. La riprova di come raccoglimento e basso profilo, il più delle volte, siano fondamentali per confezionare opere destinate a durare nel tempo.
Già autori in passato di un death metal moderno e fortemente umorale, in “The Grand Scheme of Things” i Nostri affinano quel tanto che basta la loro scrittura da renderla sia più profonda e stratificata, sia più fluida e impattante, in un bilanciamento pressoché perfetto di introspezione e ferocia. Una proposta lungi dal volersi parare gli occhi o dall’ignorare input esterni utili a delineare meglio il concept del gruppo di Cracovia, e che parte dalla severità ritmica di certi Nile, si sviluppa secondo il riffing inconfondibile dei vicini di casa Decapitated (periodo “The Negation”/“Organic Hallucinosis”) e sfuma in una tavolozza di colori grigiastri in grado di evocare le atmosfere e le dissonanze di realtà del mondo ‘post’ come Ulcerate e Cult of Luna, i Gojira di “From Mars to Sirius” o gli Svartidauði presi nei momenti più melodici dell’ultimo “Revelations of the Red Sword”, per un risultato finale eterogeneo eppure coerente in ognuna delle sue molteplici contrazioni e distensioni. Oltre alla spiccata personalità in fase di commistione, la quale non rende mai eccessivo il peso di simili influenze sulle spalle, della tracklist piacciono soprattutto la scorrevolezza e la capacità di condensare le (tante) idee in brani dal minutaggio contenuto, frutto di un background prettamente death metal che porta la band del batterista/leader Radek Kowal a non disperdere le energie e a mantenere viva la fiamma dell’attenzione dal primo all’ultimo passaggio.
Un incedere ora sincopato e brutale, ora epico e malinconico, ricco di straordinarie armonie a livello chitarristico e di dettagli che diventano via via più evidenti con il passare degli ascolti, il cui peso specifico è tutto racchiuso nella meravigliosa conclusione affidata a “The Borders of Our Language Are not the Borders of Our World”. A mani basse, l’ultima grande rivelazione estrema dell’anno.

TRACKLIST

  1. At the Garden’s Gates
  2. Poetry Doesn’t Work on Whores
  3. Bright Constellations
  4. Here Be Dragons
  5. Letters to Mr. Smith
  6. Let the Light In
  7. Sides of Defence
  8. The Borders of Our Language Are not the Borders of Our World
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