9.0
- Band: DORNENREICH
- Durata: 00:58:53
- Disponibile dal: 01/02/2001
- Etichetta:
- Prophecy Productions
- Distributore: Audioglobe
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Un sussurro, uno squittio di violino, un refolo di tensione, attimi di attesa per l’entrata della prima chitarra, che squarcia l’aria in un riff obliquo, incrociato al singhiozzante, atipico cantato. Si apre in modo scenografico, teatrale e stravagante quello che, assieme al precedente “Bitter Ist’s Dem Tod Zu Dienen”, rappresenta il capolavoro dei Dornenreich. Gli austriaci, in anni recenti divenuti un fascinoso, ma sempre meno metallico, ensemble neofolk, oggetto di culto nei paesi di lingua tedesca e tutt’ora seguitissimi nelle loro rare esibizioni per sola voce/chitarra e violino, nei primi anni 2000 hanno scritto pagine importanti di un certo tipo di black metal. Il black rivolto a interpretare le crudeltà tipiche del genere in una versione sinfonica, romantica, incantata/incantevole eppure assai tagliente, ricca di strappi, contrapposizioni, fughe improvvise e inarrestabili. Dopo l’acerbo e ancora piuttosto scarno debutto “Nicht Um Zu Sterben”, “Bitter Ist’s Dem Tod Zu Dienen” illustra ampiamente il talento di Evìga, Gilvàn e Valñes nel concepire dettagliate cavalcate di black metal sinfonico, che però, di tale sottogenere, possiede soltanto alcuni attributi rifuggendone saggiamente molti altri, mettendo in una posizione indefinibile il combo tirolese. Già nel secondo album, difatti, il gruppo allarga la sua visione e si arrischia a concepire canzoni di ampio respiro, fitte di sezioni irruente e avvampanti di arrangiamenti a volte sconcertanti, che lo rendono ancor oggi un’entità a parte nel denso scenario black metal del periodo.
Meno di due anni più tardi, i Dornenreich rompono di netto con gli schemi symphonic black metal (niente tappeti di batteria a velocità incessante, né tastiere onnipresenti) e ci consegnano un disco, “Her Von Welken Nächten”, che abbonda di chiaroscuri, alchimie acustiche, nenie folk, ondeggianti crepuscoli. “Eigenwach”, la funambolica opener, racchiude in poco meno di sette minuti i principali ingredienti che rendono questo Bellissimo così speciale: il riffing pieno e sgranato, lo spigoloso e umorale cantato in screaming, le sortite delle tastiere in partiture di rottura e rilancio di un nuovo tema sonoro, le vampate di violino e violoncello sospinte in arie a volte di contorno, a volte fungenti da autorevole spirito-guida. “Her Von Welken Nächten” prende elementi extreme metal e di musica sinfonica e li combina in modi tutti suoi, alternando momenti di palpitante grandeur, crescendo aristocratici, sospiri di anime in pena perse in elucubrazioni angoscianti. Sembra di assistere a uno spettacolo teatrale molto movimentato, caotico, ma con una sua logica di fondo: se un pezzo come “Wer Hat Angst Vor Einsamkeit?” parte con un midtempo avvolgente e intrigante, punta quindi deciso a un corteggiamento della musica operistica in chiave metallica e prosegue opulento e massiccio, solo sporcato dall’incoerente cantato, la successiva “Grell Und Dunkel Strömt Das Leben” porta con sé i germi di una pazzia tenuta nascosta troppo a lungo: brusca, iraconda, è canzone dai molteplici volti, che si rivelano nell’alternanza fra un composto recitato, urla selvagge e un parlato rantolante a dir poco inquietante. Assecondando i botta-e-risposta vocali, archi, chitarre e batteria prendono a seconda dei casi una piega ordinata e relativamente lineare, oppure si inalberano in guizzi imbizzarriti. Ciò accade nello spazio di pochi attimi, senza seguire uno schema preordinato, tanto che ci si ritrova a chiedersi come sia stato possibile che sia accaduto così tanto in uno spazio di tempo in fondo limitato (cinque minuti).
A metà percorso, “Her Von Welken Nächten” muta completamente di scenario, immergendosi pienamente in quei misteri della tradizione culturale germanica che diverranno centrali negli album a venire. “Innerwille Ist Mein Docht” e “Hier Weht Ein Moment” sono due composizioni in prevalenza acustiche nient’affatto lineari, guidate dall’attorcigliarsi della voce in strofe accennate a basso volume, fra graffi da strega, strascicamenti e parole dette sottovoce, quasi a non voler disturbare. Chitarra acustica, violino e violoncello sfiorano il sublime, regalandoci un’interpretazione minimale e toccante, in apparenza distesa e sognante, pur lasciando intuire un sottofondo ben più sordido. Pur nello sfavillio e nell’importanza rivestita dagli archi, il terzo album dei Dornenreich è segnato indelebilmente dalle chitarre, forti di un suono avanti per i tempi e soprattutto per il contesto black metal: l’intelligibilità dei riff e il loro dettaglio, gli stridori, le feroci ripartenze, sono importanti almeno quanto le carezze del violino. Di ciò ne abbiamo la testimonianza più evidente in “Trauerbrandung”, brano dotato di sezioni da puro headbanging, muscolare e incalzante, un maestoso compromesso fra l’esigenza di suonare eleganti ed evocativi e quello di dare libero sfogo all’istintività e alla rabbia. “Mein Publikum – Der Augenblick” si concede finalmente a un favellare neofolk dai tratti quasi rasserenanti, un’altra canzone pensata e sviluppata con grande fantasia, facendo dialogare gli strumenti in fraseggi pacati e figli di una sensibilità musicale non comune. Un misto di musica da camera e folk moderno, una chiusura atipica e inaspettata, come lo è d’altronde “Her Von Welken Nächten” nella sua interezza. Da riscoprire e riascoltare magari assieme al resto della discografia della band austriaca, capace di costruirsi un’identità fuori da ogni scena di riferimento e credibile nelle diverse incarnazioni assunte nel corso della carriera.