5.5
- Band: DOWN AMONG THE DEAD MEN
- Durata: 00:30:33
- Disponibile dal: 15/01/2018
- Etichetta:
- Transcending Obscurity
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Dopo tre anni di silenzio tornano in pista i Down Among The Dead Men, un altro dei mille progetti che vedono coinvolto il chitarrista/cantante svedese Rogga Johansson. La realtà in questione è inoltre nota per vedere dietro al microfono Dave Ingram, frontman britannico famoso soprattutto per la sua militanza nei Benediction nel loro periodo più fortunato e nei Bolt Thrower di “Honour – Valour – Pride”. Questo nuovo “…and You Will Obey Me” è un album prevedibile e nostalgico, che ripercorre quanto fatto in precedenza dai membri chiave della formazione senza introdurre alcuna novità rilevante. I Nostri, da veterani del mondo death metal (qui venato di crust punk), hanno puntato per questo nuovo disco sull’usato sicuro, provando a dare agli ascoltatori esattamente quello che ci si aspetterebbe da una band che non ha nel proprio codice genetico l’inclinazione all’innovazione e al cambiamento. Questo non sempre è un male, soprattutto in un filone in qualche modo statico come quello in oggetto, che deve principalmente comunicare urgenza, minimalismo e attitudine sfrontata. Elementi, questi ultimi, ampiamente presenti su “…and You Will Obey Me”, opera che però ha un rovescio della medaglia e che, superato il continuo assalto in d-beat, denota come anche per i Down Among The Dead Men il tempo stia passando e l’effetto sorpresa degli inizi stia pian piano lasciando il posto a quel manierismo e a quella penuria di ispirazione che hanno intaccato la proposta di tanti altri gruppi guidati da Johansson. Nonostante il lavoro sia nel complesso discreto dal punto di vista dello stile e dell’esecuzione, sul fronte del puro songwriting aleggia spesso un senso di incompiutezza o di stanchezza che non riesce più a ravvivare quel fuoco che dovrebbe essere alla base di dischi come questo. Si salvano la title track – forte di cori ficcanti e memorizzabili – la successiva “The End of Time”, che può vantare delle melodie più accentuate e, su tutto, la prova di Ingram, il quale, a dispetto dell’età ormai piuttosto avanzata, possiede ancora un growl profondo e subito riconoscibile. Per il resto, quanto approntato dalla band in questa occasione rischia seriamente di scomparire all’ombra di molti altri dischi ben più curati ed efficaci: dagli ultimi Vallenfyre e Goatwhore sino ovviamente ad arrivare ai classici di Entombed o Extreme Noise Terror. Si può passare oltre senza grandi patemi.