6.0
- Band: DOWN
- Durata: 00:33:18
- Disponibile dal: 18/09/2012
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Warner Bros
Spotify:
Apple Music:
I Down tornano a farsi sentire dopo cinque anni, sedando la spasmodica attesa di tutti coloro che ormai li hanno accolti tra i gruppi preferiti (compreso il sottoscritto). “Down IV: Part I – The Purple EP” è il primo di una serie di quattro EP, la cui pubblicazione verrà completata nel corso dell’anno prossimo, e presenta un cambio di formazione: Pat Bruders sostituisce Rex Brown e, per quanto i caratteristici “colpi di tosse a mezzo di basso” di quest’ultimo potranno mancare ai fanatici, riesce a non farlo rimpiangere. La prima cosa che noterete, specie ai primi ascolti, è la componente southern-sludge, da sempre contraddistintiva del loro sound, passata un po’ in secondo piano; capiamoci, non stiamo dicendo che sia sparita (le chitarre continuano a produrre frequenze spesse e grasse), semplicemente diviene un elemento meno preponderante e va a costituire lo sfondo nel cui abbraccio si sviluppa la profonda suggestione della band per la scena doom americana degli anni Ottanta (i nomi principali li sapete tutti: St.Vitus, Trouble, Obsessed e compagnia bella), vera spina dorsale dell’EP. Prima di cedere all’ansia del giudizio personale, dovremmo tutti fermarci su una riflessione: che tipo di implicazioni ha lo sviluppo di un’idea così pregna d’estetica? La più evidente, dal punto di vista logico e consequenziale, è che le canzoni suonano tutte quadrate e particolarmente “vintage” nel sound, mentre quella meno evidente è che si è badato principalmente alla forma, forse per coprire un’ispirazione meno vivida che in passato. I pezzi, benché esteriormente perfetti, risultano quasi tutti piuttosto statici, nella misura in cui non riescono a trasmettere la carica tipica delle composizioni precedenti, tant’è vero che la mezz’ora dell’EP non cade mai in disdicevoli baratri, né mostra particolari picchi, finendo – pure – per annoiare un po’. Alcuni potrebbero pensare che questo tipo d’analisi sia in qualche modo connesso alla specifica scelta stilistica del gruppo, ma la realtà è differente e più precisamente la valutazione non entusiasta si deve al tiepido impatto emotivo di cui le canzoni soffrono: come altrimenti prendere la forte e continua impressione di stare ascoltando una raccolta di b-side? Come scendere a compromessi con un gruppo che ci ha abituati a pezzi di ben altra dinamica (confrontate, per dire, una “Lifer” con un pezzo qualsiasi dell’EP e capirete cosa intendiamo)? Come leggere canzoni che, di fatto, finiscono alla metà della loro durata per poi trascinarsi uguali nella restante metà (“Witchtripper”)? La nostra personalissima risposta è che i Down siano incappati in un momento di appannamento “emotivo”, più che compositivo, di quelli che in una lunga carriera possono capitare, e – alla luce di questo – possiamo concludere come “Down – IV: Part I – The Purple EP” non sia un brutto lavoro, ma debole perché non molto coinvolgente: le canzoni si lasciano ascoltare tutte, ma sono orfane di quel senso di cieca disperazione e nera potenza che “infestavano” gli album precedenti; da questa band era lecito attendersi un po’ di più, ma non sempre le cose possono andare secondo i desideri.
Levitation:
Un’intro aggraziata come un elefante zoppo ci conduce alla prima concreta verifica che il doom statunitense ottantiano è l’anima di quest’album. Prima una serie di riff 100% Trouble, poi un riff à la Down più insonnolito del solito, fanno da tappeto alle vocals di Phil Anselmo, dal gusto particolarmente settantiano (specie nei ritornelli). Le premesse estetiche ci sono tutte, quello che manca è un po’ di coinvolgimento emotivo: il pezzo rimane un po’ troppo “di maniera”.
Witchtripper:
Un breve feedback fa da apripista a uno dei tipici riff grattati della band, che sostanzialmente procede dritto per tutto il pezzo (già reperibile in rete). Come accennato prima, “Witchtripper” finisce più o meno alla metà della durata per poi ricominciare uguale e trascinarsi senza le tipiche variazioni, nei toni e negli accenti, che hanno sempre impresso la giusta dinamica ai pezzi dei Down: giusto la linea vocale studiata da Phil Anselmo, piuttosto originale, riesce a sollevare un po’ l’interesse.
Open Coffins:
Ecco uno dei pezzi più coinvolgenti dell’EP (finalmente!), perché in grado di rendere lo spirito ossessivo del doom e sintetizzarlo efficacemente con il sound dei Down. Ancora una volta belle linee vocali da parte di Phil Anselmo; unico peccato veniale, la chiusura della canzone tirata assai per le lunghe.
The Curse Is A Lie:
Un riff funebre à la St.Vitus dà il via alla migliore prestazione vocale di Phil Anselmo in tutto il lavoro, tanto che da sola sostiene un pezzo altrimenti ordinario. Degna di nota la parte centrale della traccia, ovvero il frammento dell’EP che più sinceramente rende tributo all’anima indiscutibilmente redneck del gruppo.
This Work Is Timeless:
Questo è il pezzo, a nostro giudizio, più carino di tutto l’EP: non si tratta di una nuova “Stained Glass Cross”, ma di sicuro è quello in cui convivono al meglio doom e southern rock d’annata. Benché siano ancora presenti degli istanti statici, la suddetta commistione riesce in qualche modo a “bucare” e farvi venir voglia di riascoltare da capo “This Work Is Timeless” (seconda canzone tra quelle già reperibili in rete).
Misfortune Teller:
Ultimo dei pezzi reperibili in rete, anch’esso soffre del “morbo” caratteristico di questo lavoro: un bel riff introduce un pezzo che finisce per impantanarsi nell’assenza di dinamica. Degna di nota è la parte centrale, una sorta di tributo – più o meno esplicito – ai Black Sabbath, dopo la quale il pezzo riprende l’andatura che aveva in precedenza senza ulteriori sussulti. E’ presente, un paio di minuti dopo la chiusura, quella che definiremmo una “hidden reprise”.
Terminato l’ascolto di “Down – IV: Part I – The Purple EP”, rimane un interrogativo che vi sottoponiamo come considerazione a margine (pessimistica in prospettiva): visto che in un EP di sei pezzi sono in definitiva due quelli che si elevano da un livello ordinario, non sarebbe stato più saggio selezionare, via via, le cose migliori da ogni EP (presente e futuro) e raggrupparle in un unico album dalla qualità più alta?
PS: Nonostante negli ultimi anni abbia accusato qualche colpo (ascoltate “Diary Of A Mad Band” oppure andate a visionare le testimonianze live degli ultimi due anni), siamo contenti di poter dire che la voce di Phil Anselmo risulta ancora in grado di fornire prove di carattere.