8.0
- Band: DOWN
- Durata: 01:05:19
- Disponibile dal: 28/09/2007
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Warner Bros
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I Down non hanno bisogno di presentazioni. Da anni i fan della formazione, emersa quando i side project non erano ancora espediente regolare per permettere ai musicisti di vivere di musica, attendono un nuovo capitolo della saga dei re del sud, in pausa da anni dopo gli acclamati “Nola” e “II, A Bustle in Your Hedgerow”. Gli intercorsi personali, noti o meno, sono stati gravi e intensamente dolorosi, ed emergono pesantemente in “Over The Under”, come una catarsi di gruppo in forma di jam session. Iniziamo col dire il disco non è un capolavoro assoluto: i mid-tempo ciclici, la produzione particolare che coinvolge al minimo la tecnologia, gli effetti calcati sulla voce, il cantato ostentato in tutte le canzoni sono tutte scelte consapevoli che potrebbero non piacere a molti, ma che sono, allo stesso tempo, indubbiamente spavalde e coraggiose. La differenza, in “Over The Under”, la fanno i pezzi: solidissimi, emotivi, oscuri, tanto classici nelle scelte artistiche quanto splendidamente heavy nella loro rilettura personale di Sabbath, Thin Lizzy, Lynyrd Skynyrd e Alice In Chains (ebbene si) in chiave ultraheavy e southern, filtrate dalle esperienze personali dei musicisti. Un disco fatto di canzoni piuttosto che di orchestrazioni, sovraincisioni, missaggi e diavolerie digitali, sudato in infinite sessioni di registrazione, come nessuno osa più produrre. “3 Suns And One Star” e “Pyllamid” riesumano il noto groove fumoso della formazione, “Never Try” esplora l’animo blues, la alcolica “Beneath the Tides” è immersa in chitarre liquide, “Her Majesty the Desert” e “Nothing in Return” offrono anche una occasionale psichedelia. Ma è la voce di Phil Anselmo a stupire maggiormente: così meravigliosamente versatile, emozionale, appassionata, sembra rappresentare il suo volere di rimettersi in piedi dopo i dolori fisici (schiena) e dell’anima (Dimebag), con un inedita lucidità che si traduce in quel trasporto e quella melodia mai così evidenti. Inutile parlare del duo Keenan/Windstein, fautore di un muro di suono immenso, fatto di riff colossali, sporchi, grezzi e riverberati fino all’eccesso tanto nello stoner metal da headbangin’ quanto nei momenti southern blues. Certo manca ancora qualche mese per scegliere il miglior disco hard rock di questo 2007, quindi per adesso ci limitiamo a dire a Phil, Pepper, Kirk, Rex e Jimmy: grazie e bentornati.