8.0
- Band: DRACONIAN
- Durata: 01:02:11
- Disponibile dal: 30/10/2020
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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Gli svedesi Draconian non sono certo una band prolifica: attivi dal lontano 1994, giungono solo ora al settimo full-length, a cinque anni di distanza dal precedente “Sovran”. Forse per questo motivo, o forse perché, tra i pochi difetti, si può imputare loro una certa immobilità a livello compositivo (o, da un altro punto di vista, una coerenza estrema), sono spesso considerati una sorta di gruppo minore quando si parla di gothic metal a tinte doom, mentre la qualità delle loro produzione avrebbe meritato maggior attenzione. “Under A Godless Veil” è il secondo album in cui la voce femminile è affidata al talento di Heike Langhans e probabilmente questo innesto ha portato i suoi frutti: la cantante di origini sudafricane, nota anche per il progetto LOR3L3I, sembra aver conferito forza creativa, oltre a caratterizzare la musica dei Draconian in modo più marcato rispetto a chi l’ha preceduta, la pur ottima Lisa Johansson. Il risultato è un album in cui a prevalere è un mood malinconico ed intimista; il growl di Anders Jacobsson è sempre presente, e come al solito profondo e potente, ma i ritmi sono più rilassati rispetto al passato, le atmosfere eteree molto più numerose rispetto ai momenti aggressivi e la componente gothic più abbondante di quella doom. Certamente non si tratta di uno stravolgimento epocale, bene o male il substrato musicale entro il quale ci si muove è lo stesso, un misto di death, gothic e doom con una vena progressive, debitore di band quali i Theatre Of Tragedy, ma questo piccolo cambiamento ha sortito degli effetti positivi oltre le aspettative: grazie sicuramente ad un songwriting ispirato, la musica scorre calda ed emozionale, con pezzi ben congegnati in cui ogni parte sembra essere al proprio posto; gli arrangiamenti sono spesso complessi ma studiati in modo perfetto, ed impreziosiscono i brani stessi senza inutili esercizi di stile, mentre una produzione cristallina valorizza ogni minimo dettaglio. Un ruolo molto importante è anche quello ricoperto dai testi, a metà tra religione e filosofia: l’album ruota intorno alla storia della Creazione secondo i Seziani, membri di una corrente gnostica del Cristianesimo delle origini che vedeva Seth, figlio di Abramo, come una divinità. Parecchi sono i brani che lasciano il segno: l’opener “Sorrow Of Sophia” si apre con leggere note di pianoforte e la malinconica voce di Heike ci riporta ad atmosfere simili a quelle create da Aleah e dai suoi Trees Of Eternity; “The Sacrificial Flame” ha l’andamento epico e solenne, ma allo stesso tempo malsano, tipico dei My Dying Bride. Come da sempre, tutti i pezzi vivono sull’equilibrio tra oscurità e luce, e spesso questi due aspetti si fondono in maniera inscindibile: un esempio è la fragile “Sleepwalkers”, che con i suoi suoni lenti e spettrali dipinge paesaggi tenui e desolati. Al contrario ci sono momenti più doom e potenti, dominati da un growl cavernoso e dai riff di chitarra, come “Moon Over Sabaoth” e “Claw Marks On The Throne”. I nove minuti della maestosa “Ascend Into Darkness”, il brano più strutturato ed ambizioso, scorrono intensi e drammatici, suggello conclusivo di un album che non ha cedimenti dall’inizio alla fine.