6.5
- Band: DRAGONFORCE
- Durata: 00:49:07
- Disponibile dal: 15/03/2024
- Etichetta:
- Napalm Records
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L’eccesso degli autocelebrati extreme power metaller Dragonforce è ormai un elemento ben noto a tutti, indipendentemente dal momento in cui è avvenuto il contatto con una delle formazioni più controverse del panorama metal globale: da una prima fase composta da album che, che per quanto esagerati, sembrano tuttora quasi una sorta di omaggio estremizzato a tutto ciò che rappresenta una certa forma di power metal, fino ad una seconda in cui si è fatta man mano più predominante una deriva nerd e colorata; questa, da una parte ha permesso alla band di farsi ulteriormente apprezzare dal pubblico giovane e affezionato a determinati prodotti di intrattenimento, ma dall’altra ne ha sancito l’abbandono da parte di chi li ritiene oramai la parodia di se stessi.
Il loro nuovo album “Warp Speed Warriors” procede esattamente nella seconda direzione, e non è un caso che vi sia una quantità notevole di citazioni ai videogiochi – cosa che di per sé sarebbe apprezzabile, se non fosse che il comparto musicale sembra arrancare, continuando a reiterare degli stilemi che fino a qualche anno fa avremmo ritenuto tamarri e fomentanti, ma che in questa sede iniziano a dare una parvenza a tratti un po’ stanca. Le canzoni in sé risultano meno efficaci e con soluzioni meno ricche di carica, inclusi i ritornelli, da sempre fiore all’occhiello delle canzoni dei Dragonforce insieme ovviamente agli sfoggi di tecnica chitarristica di mister Herman Li e del suo compare Sam Totman, che qui risultano presenti e in evidenza come sempre; eppure, a pare nostro, determinate scelte esecutive andrebbero un minimo svecchiate per risultare interessanti.
La opener “Astro Warrior Anthem” si presenta invero abbastanza bene, seppur troppo lunga e anche troppo coerente con quanto già scritto in passato, mentre di “Power Of Triforce” ci sentiamo di salvare principalmente il testo ispirato alla saga videoludica “Zelda”, al contrario di una lenta “Kingdom Of Steel” che, detto francamente, ci è parsa una delle tracce più fiacche e scialbe mai scritte dal combo di fondazione britannica.
La situazione migliora con “Burning Heart”, che nel suo essere un po’ prevedibile risolleva l’asticella generale, dandoci la sensazione di avere ancora a che fare con quei Dragonforce con cui ci siamo divertiti più volte, ma questa si schianta prontamente con l’ignoranza più becera della successiva “Space Marine Corp”, che farà senz’altro la gioia dell’ascoltatore medio da fiera da fumetto con la sua vena demenziale e orecchiabile, ma che a noi ha più che altro fatto salire l’indice del cringe oltre il livello di guardia.
La fase finale si apre con una “The Killer Queen” che ci ha stupito sin dal primo ascolto, essendo probabilmente il pezzo più oscuro e collerico del pacchetto, con un’atmosfera generale che ci riporta prima all’album “Reaching Into Infinity” e poi direttamente ai primi album in concomitanza del ritornello: tanto ci basta per etichettarla come la traccia migliore del disco.
Anche in questo caso, prontamente, il nostro entusiasmo subisce una parziale battuta di arresto nel momento in cui l’atmosfera vira in favore del più zarro tra i divertimenti, grazie ad una “Doomsday Party” che, fortunatamente, centra il bersaglio decisamente meglio rispetto alla sopracitata deriva cosmica in compagnia degli Space Marine, in quanto vi è una indiscutibile e deliziosa matrice synth pop anni ’80 ad alimentarne la deriva musicale.
La conclusione con “Pixel Prison”, fortunatamente, fa leva sugli stilemi giusti della musica dei Dragonforce, anche se le linee melodiche cantate da Marc Hudson iniziano onestamente a risultarci anche troppo ridondanti e telefonate; anzi, il ritornello sembra chiaramente autoplagiato, e se li avete seguiti nel corso degli anni anche voi non faticherete a notare la somiglianza con almeno altre cinque canzoni precedentemente prodotte.
Perlomeno, ci pensa un po’ di sano orgoglio nazionale a farci sorridere, considerata la bravura del batterista nostrano Gee Anzalone, mentre sulla cover di “Wildest Dreams” di Taylor Swift facciamo anche a meno di esprimerci.
In conclusione, riteniamo che la formula dei Dragonforce, per quanto potenzialmente divertente, stia iniziando nuovamente a mostrare il fianco ad alcune criticità, e crediamo saranno in diversi, giunti a questo punto, ad avvertire un po’ di nostalgia dei primi vagiti ad opera di una band che, a scanso di concerti di dubbia credibilità e trovate persino troppo esagerate, a suo tempo ci ha trasmesso una quantità di energia invidiabile e non scontata, a suon di dragoni e fiammate dirompenti.