7.0
- Band: DRAGONHAMMER
- Durata: 00:45:25
- Disponibile dal: 27/10/2017
- Etichetta:
- My Kingdom Music
- Distributore: Audioglobe
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Tornati sulle scene nel 2013, dopo quasi dieci anni di inattività, i Dragonhammer segnano la loro quarta prova in studio con questo “Obscurity”, disco che vede rinsaldarsi la line-up già formatasi con la reunion e che sostanzialmente mantiene la stessa formula del precedente “The X Experiment”. La band romana infatti non ha mai provato a cambiare la propria sostanza, cioè quella del power metal anni Novanta influenzato dal progressive e dai primi vagiti di quello che sarebbe poi diventato il symphonic metal. In un momento come questo, in cui il power metal più mainstream evita accuratamente di prendersi sul serio, una band come questa si fa messaggera di un mondo dove suonare pezzi come “Under The Vatican’s Ground”, con la sua incisiva carica e un ritornello quantomai memorabile, era praticamente normale. Senza fare affidamento né a una produzione particolarmente pulita e nemmeno a chissà quali artifici compositivi, i Dragonhammer risultano credibili anche quando vanno a scomodare influenze di un certo Ronnie James con “Children Of The Sun”, o quando ci presentano bordate power vecchia scuola come con la successiva “Fighting The Beast”. A fare da capo a tutto ci sono come sempre Gae Amodio al basso e il graffiante Max Aguzzi a voce e chitarra, ottimo interprete che in questi anni ha reso i Dragonhammer distintamente riconoscibili per un approccio molto più emozionale che tecnico alla musica. I frutti dell’ormai quasi ventennale collaborazione tra i due li apprezziamo specialmente in pezzi come “Brother Vs Brother”, dove l’ingenuità nel suonare un power metal totalmente influenzato da una determinata estetica musicale e artistica riesce nonostante tutto a strapparci un sorriso. È proprio questo che rende “Obscurity” un disco godibile: il volerci presentare delle composizioni che suonano marcatamente anni Novanta, con tanto di tastiere che spesso e volentieri vanno a fare da orpello al lavoro di riffing. Quest’ultimo, soprattutto, suona credibile e mai troppo forzato. I Dragonhammer vanno apprezzati per il loro non voler mollare in un mondo dove si fa a gara a chi è più tecnico o chi è più personaggio, andando il più delle volte a scapito di riff e composizioni che dovrebbero essere le colonne portanti della musica. La title-track, che chiude il disco, è sostanzialmente un tuffo nel passato del power neoclassico pre-rhapsodiano, con le sue tastiere che suonano vintage e una atmosfera generale che è più vicina a una partita a Dungeons And Dragons di quanto si possa credere.