7.5
- Band: DRAWN AND QUARTERED
- Durata: 00:38:16
- Disponibile dal: 02/07/2021
- Etichetta:
- Krucyator Productions
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Il (lungamente atteso) successo di veterani come Immolation e Incantation sta aprendo la strada alla (ri)scoperta di numerosi altri notevoli interpreti del death metal più cupo e magmatico. I Drawn And Quartered, in attività dal lontano 1994 e artefici nel corso degli anni di numerosi album di prim’ordine purtroppo mai davvero usciti al di fuori del circuito underground, sono ovviamente in cima alla lista delle band da celebrare, anche solo per la loro stoica perseveranza, la quale gli ha permesso di arrivare all’invidiabile traguardo dell’ottavo full-length nonostante un riconoscimento da parte del pubblico spesso minimo.
Il nuovo “Congregation Pestilence”, come prevedibile, non cambia di una virgola il tradizionale approccio del gruppo, il quale si ripresenta con un disco assolutamente fedele alla linea, all’insegna del classico death metal tenebroso e claustrofobico per cui è diventato altamente rispettato nell’underground. Una durata media delle composizioni leggermente più bassa rispetto al recente passato e un ricorso più frequente a quelle chitarre sibilanti di marca Robert Vigna e a ritmiche frastagliate e avvolgenti questa volta portano a invocare più il nome Immolation che quello Incantation, ma si tratta di minuzie all’interno di una proposta più densa e coerente che mai. Del resto, la band statunitense suona questo tipo di death metal da metà anni Novanta, quindi è normale vederla interpretare il proprio elemento con passione e naturalezza, tra una solidità innata, rocambolesche allusioni trasversali e una resa sonora che negli anni ha saputo mettersi al passo coi tempi senza mai perdere di ruvidezza. Come sempre, attorno al growling di Herb Burke pullula un universo sonoro che vive di infinite sfumature nerastre, di continui capovolgimenti ritmici e di riff, generando una magnifica girandola di instabilità che spesso sottrae ogni certezza e prevedibilità. “Congregation Pestilence” non possiede magari quell’atmosfera incredibilmente sinistra e quell’arsenale di melodie dolenti che avevano fatto volare il precedente “The One Who Lurks”, tuttavia, spinto da pezzi come “Death’s Disciple” e “Age Of Ignorance”, resta un’opera magnetica e ispirata, in grado di sotterrare ogni dubbio sotto la propria fittissima ragnatela ritmica.