6.5
- Band: DREAM THEATER
- Durata: 01:15:05
- Disponibile dal: 13/09/2011
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Warner Bros
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Tutti conoscono il peso specifico che ha avuto Mike Portnoy nell’economia dei Dream Theater. Il rivoluzionario drummer staunitense da sempre si è occupato in primissima persona nel bene e nel male di tutti gli aspetti della band: dal songwriting dei dischi, alle liriche delle canzoni, sino ad arrivare al rapporto diretto con fan e fan club. Non che gente come Petrucci o Myung sia rimasta con le mani in mano in tutti questi anni, anzi, tuttavia è innegabile che il carisma superiore e l’esuberanza del batterista sopraccitato abbiano creato una sorta di leader naturale all’interno del gruppo. Questo preambolo per dire che, al di là di gusti e opinioni, “A Dramatic Turn Of Events” non verrà ricordato come uno dei più oscuri dischi concepiti dalla band, né come il più brutto e, tanto meno, come il più bello, ma, semplicemente, come “il primo disco senza Portnoy”. Ci sarebbe voluto il classico “disco perfetto” per far dimenticare questo cambio di formazione e il miracolo non è arrivato, perché “A Dramatic Turn Of Events” è un disco altalenante, in cui i Dream Theater non dimenticano le recenti scorribande aggressive, presenti in certe ritmiche e nel riffing affilatissimo di Petrucci, ma, allo stesso tempo, fanno un passo indietro, andando a ripescare strutture più complesse e certi virtuosismi che erano stati messi in secondo piano nelle ultime pubblicazioni, a favore di partiture più snelle o maggiormente concentrate sull’aspetto emotivo della canzone. Il nuovo entrato Mike Mangini dietro le pelli ha tutti gli occhi addosso, ma sembra fare il possibile per nascondersi con un drumming affidabile eppur impersonale, mentre chi regala qualche sorpresa è Jordan Rudess, che si ritaglia molto più spazio alle tastiere, alternando orchestrazioni da colonna sonora a passaggi di grande feeling. L’inizio dell’opener “On The Backs Of The Angels” fa ben sperare con l’introduzione arpeggiata di Petrucci e la successiva parte orchestrale, ma si perde sul più bello in un ritornello statico. Così, dobbiamo attendere la successiva “Build Me Up Break Me Down”per i primi applausi: un pezzo immediato e dalle tendenze moderne che farà discutere, ma regala scelte melodiche decisamente più interessanti. In brani elaborati e dal minutaggio elevato come “Lost Not Forgotten” e “Outcry” la scarsa fluidità dei leziosi arrangiamenti ci rimanda ad una certa nostalgia paventata ad inizio testo, mentre con i lenti “This Is The Life” e “Far From Heaven” i Dream Theater vanno sul sicuro, dimostrando di essere ancora in grado di emozionare con melodie ad effetto ed il cantato leggero di un LaBrie ormai sempre più votato alle tonalità medio-basse, che dimostra di sentirsi particolarmente a suo agio in queste partiture soffici ed aspirate. Comunque, gli affezionati stiano tranquilli, i Dream Theater non hanno perso la capacità di maneggiare sonorità progressive e, per fortuna, ci regalano anche questa volta un paio di grandi pezzi: l’oscura “Bridges In The Sky” e la disincantata “Breaking All Illusion”, in cui il quintetto americano ci ricorda come la tecnica e i virtuosismi possano andare a braccetto con le emozioni senza eccessive forzature. Nel finale, c’è spazio per un altro lento, il bellissimo “Beneath The Surface”, questa volta più solare e disteso, con la quale la band di New York si congeda scrollandosi di dosso le tensioni degli ultimi tempi. Il primo disco senza Portnoy è stato pubblicato e, nonostante tutto, le cose che ci hanno fatto amare e odiare i Dream Theater ci sono ancora…