7.5
- Band: DREAM THEATER
- Durata: 01:10:19
- Disponibile dal: 22/10/2021
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Sony
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Come detto anche in occasione del nostro speciale track-by-track, recensire una produzione ad opera dei Dream Theater è sempre un compito a tratti spigoloso, in quanto si tratta forse di una delle formazioni musicalmente più discusse dell’intero panorama metal mondiale. Questo perché sembra non esistere una maniera obiettiva per classificare uno qualsiasi dei loro album, come si può evincere dalle evidenti differenze di opinioni che sussistono tra gli ascoltatori: tra chi divinizza certe uscite a scapito di altre, chi esattamente l’opposto e chi invece li ritiene intoccabili a prescindere, positivamente o negativamente che sia.
Indipendentemente dalle singole opinioni, ogni volta che la progressive metal band per antonomasia immette un nuovo prodotto discografico sul mercato, il connubio tra la componente tecnica e il songwriting rappresenta sempre e comunque il focus principale su cui John Petrucci e compagni scelgono di focalizzarsi. Per quel che riguarda “A View From The Top Of The World”, è stata nuovamente posta la massima cura nella resa di ogni singolo elemento, anche se inevitabilmente permangono quelle leggere sbavature che rappresentano oramai delle vere e proprie caratteristiche più o meno volute. Tra queste menzioniamo un uso ancora una volta a tratti eccessivo delle tastiere ad opera di Jordan Rudess, e un James LaBrie dedito ad un’esecuzione vocale relativamente fredda a livello timbrico ed interpretativo, ma anche in questo caso non si tratta certo di una novità. Discorso contrario per le parti di basso di John Myung, qui sempre ben enfatizzate e udibili, e per la batteria di Mike Mangini, che riesce sempre a stupirci coi suoi virtuosismi e i suoi riff, fortunatamente mai invadenti o soffocanti. Sul lavoro di chitarra poi, risulta davvero difficile avere qualcosa di negativo da dire, anche se qualcuno potrebbe gradire qualche sfoggio di tecnica in più qui e là, giusto a scopo di intrattenimento.
Avendone parlato in maniera lunga e approfondita nel sopracitato track-by-track, facciamo a meno in questa sede di un’analisi dettagliata dell’intera tracklist. Piuttosto, vogliamo porre la nostra attenzione su quella che è la natura stessa di questo attesissimo album, dal momento che ogni opera dei Dream Theater può vantare un’identità propria e riconoscibile, con soluzioni musicali peculiari e in grado di rendere ogni uscita molto più che un banale seguito della precedente. Volendo essere più precisi, ci sentiamo di porre questo lavoro in un sapiente punto medio tra il più old-school “Distance Over Time” e il forse eccessivamente elaborato – per non dire prolisso – “The Astonishing”, quantomeno dal punto di vista strutturale. Non si tratta infatti di un ascolto particolarmente lungo, per quanto racchiudere una abbondante ora e dieci di musica in soli sette brani possa sembrare un’impresa scoraggiante. Eppure possiamo dire di non esserci praticamente mai annoiati durante la fruizione, eccezion fatta per il singolo “Invisible Monster”, che a nostro avviso rappresenta il brano più anonimo del pacchetto, e un inizio con “The Alien” lievemente meno efficace e più derivativo di quanto ci saremmo aspettati.
Si tratta, in buona sostanza, di un ottimo compromesso tra complessità ed immediatezza che trova la propria forza in soluzioni musicali avanguardistiche, riscontrabili ad esempio nella bellissima “Awaken The Master”, in cui il chitarrone a otto corde di messer John Petrucci svolge per la prima volta un ruolo cruciale, facendoci quasi desiderare di poterne avere ancora alla prossima occasione. Allo stesso modo, abbiamo trovato davvero interessante la orecchiabilissima “Trascending Time”, che riesce a presentarsi con una parvenza quasi hollywoodiana e di stampo pop, ma sempre e comunque con quella dose massiccia di maestria esecutiva e compositiva a proiettarne l’essenza tra gli astri.
Immancabile poi la lunghissima suite da oltre venti minuti, qui in veste di titletrack, a svolgere il ruolo di summa totale di quanto ascoltato in un album che in qualche passaggio ci ha lasciato leggermente perplessi, ma che fortunatamente si mantiene su livelli alti per la maggior parte della propria durata. Forse non si potrà collocare quest’opera tra le più gloriose ad opera della formazione statunitense, ma è innegabile che si tratti di un lavoro di qualità più che buona e che farà senz’altro la felicità di chi continua imperterrito a seguire con curiosità le gesta di questi cinque iconici signori. Al contrario, se siete tra coloro che li hanno abbandonati tanto tempo fa, o che addirittura non hanno mai provato alcun gaudio ascoltando le loro composizioni, non sarà certo questo prodotto a farvi cambiare idea.