6.0
- Band: DREAM THEATER
- Durata: 01:15:48
- Disponibile dal: 07/06/2005
- Etichetta:
- Atlantic Records
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Tutti voi avrete avuto più di un’occasione per parlare con amici e conoscenti dei Dream Theater. Siamo certi che, ogni qualvolta l’argomento è stato tirato in ballo, sono emersi pareri tra i più discordanti, riassumibili – per necessità di sintesi – in tre grandi categorie: 1) quelli che… “i Dream non si toccano, tutti i loro dischi sono fantastici!”; 2) quelli che…”dei Dream mi piacciono solo ‘Images And Words e ‘Scenes From a Memory'”; 3) quelli che…”odio i Dream, badano solo al lato tecnico della loro musica, sono incapaci di trasmettere emozioni!”. Il pensiero che ognuno ha sulla band è qualcosa di strettamente personale, figlio dei gusti musicali di ognuno. Ma, volendo analizzare oggettivamente la carriera dei Dream Theater, crediamo che nessuno trovi difficoltà a riconoscere la loro importanza nella storia della musica metal. Quel capolavoro di “Images And Words”, uscito ormai nel lontano 1992 e definibile come uno dei migliori dischi di quel decennio, ebbe il merito di riportare in auge sonorità progressive settantiane che sembravano ormai morte e dimenticate, attualizzandole e contestualizzandole in maniera sublime nell’ambito della musica heavy metal. Da quel momento in poi la band ha cercato di cambiare la propria musica disco dopo disco, tentando di evolversi e rinnovarsi, vivendo fasi di successo alterne. La volontà era quella di non ripetere un altro “Images And Words”, ma i migliori risultati a livello di critica e indice di gradimento tra i fan furono ottenuti proprio con “Scenes From A Memory”, altro masterpiece che rappresentò un ritorno alle radici per l’act americano. Poi, ancora una volta, il sipario del Teatro Del Sogno cala. L’incubo ricomincia con l’ambiguo e controverso “Six Degrees Of Inner Turbulence”, e la paura di non svegliarsi più si materializza con il mediocre “Train Of Thought”. Con il nuovo “Octavarium”, la band è quindi chiamata a dare la sveglia ai propri fan. Stilisticamente non vengono rinnegate le sonorità moderne ed immediate presenti nel precedente lavoro, ma questa volta i Dream Theater si spingono oltre arrivando a comporre un disco in cui, mai come prima d’ora, le canzoni si presentano in maniera sostanzialmente “lineare”, quasi del tutto prive di ritmiche intricate e momenti solistici esasperati. Inoltre, LaBrie pare avere completamente recuperato la forma che sembrava irrimediabilmente persa con i due precenti album, ritrovando ispirazione nel costruire linee vocali accattivanti. Tutto questo, però, non è stato sufficiente per consegnare al pubblico un lavoro constantemente avvincente, ma solo un disco discreto che vive di troppi alti e bassi. L’iniziale “The Root Of All Evil”, dal riff che deve molto ai vecchi Metallica, è sicuramente uno degli episodi meglio riusciti, in cui LaBrie sfodera una prestazione dannatamente epica e passionale come non gli riusciva da tempo. Nella seguente “The Answer Lies Within”, non basta la valorosa prestazione del singer per salvare una ballad prevedibile ed abbastanza ripetitiva. In “These Walls” la band si concentra troppo sui suoni, manifestando la chiara volontà di tentare vie nuove, il cui risultato è però deludente, in quanto i nostri prestano un’esagerata attenzione all’effettistica, perdendo di vista il groove della canzone. “Walk Beside You” rappresenta invece un piacevole e riuscito incontro tra sonorità attuali e quelle dei Dream che furono, mentre “Panic Attack”, assolutamente ottima, sorprende per cattiveria e per inaspettate influenze targate Muse. Con “Never Enough” e “Sacrificed Sons” si ripresentano i toni tragici, a tratti soffocanti e claustrofobici, che caratterizzavano “Train Of Thought”. L’album si chiude con i ventiquattro minuti della title-track che, alla pari di “The Root Of Evil” e “Panic Attack”, è quanto di meglio l’album sia riuscito ad offrire nei sui oltre settanta minuti di musica. La band ha suonato la sveglia; i Dream Theater di oggi sono questi. Chi vuole può tornare a dormire, gli altri troveranno un gruppo completamente differente da quello dei gloriosi tempi che furono.