6.5
- Band: DREAM THEATER
- Durata: 01:11:14
- Disponibile dal: 07/02/2025
- Etichetta:
- Inside Out
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Quaranta anni di attività per una band sono sicuramente un traguardo importante, un momento di riflessione e una pietra miliare su cui sedersi e – per quanto possibile – tirare le somme di quello che si è costruito fino ad ora. Quattro decadi di attività nel mondo della musica significano avercela fatta, significano aver fallito, essere caduti, essersi rialzati e essere andati avanti, significano avere una comunità che crede in quello che si fa e, in un modo o nell’altro, significano aver lasciato il segno all’interno di un ecosistema come quello del progressive metal.
I Dream Theater, che piaccia o meno, il traguardo degli ‘anta’ lo hanno raggiunto e hanno deciso di celebrare questo importante compleanno rilasciando il loro sedicesimo album dal titolo “Parasomnia”; che, tra le altre cose, è anche il primo album in tredici anni rilasciato con il leggendario Mike Portnoy alla batteria – tornato all’ovile dopo appunto un lungo periodo di separazione dalla band newyorkese.
Il nuovo lavoro discografico rilasciato dai nostri è un’opera che prende vita e si anima nel momento in cui chiudiamo gli occhi per abbandonarci al caldo abbraccio di Morfeo, nella speranza che il dio greco dei sogni ci culli dolcemente fino allo spuntar del sole. Il sonno che ne consegue è però tutt’altro che riposante e rinvigorente, ma piuttosto tormentato e martoriato da movimenti nevrotici, incubi ricorrenti, emozioni contrastanti e una serie di altre sofferenze che delineano il disturbo del sonno dà cui il l’ultima opera dei Dream Theater prende il nome: la parasomnia, appunto.
“Parasomnia” è un lavoro oscuro, notturno, a tratti tenebroso; un’opera narrata dall’interno di una gabbia onirica da cui non si può sfuggire se non aprendo gli occhi e abbandonando quello che dovrebbe essere il momento della giornata in cui il corpo e la mente trovano il meritato riposo e l’agognato sollievo.
In questa passeggiata nel mondo degli incubi, il quintetto di New York riporta a galla molto del proprio passato, riproponendo – quasi fosse una seduta di ipnosi – alcuni stilemi e strutture familiari alla fan base di lunga durata. Un amarcord, questo, presentato come un lavoro tematico che, al contempo, assume a tratti i colori del concept album, senza però abbracciare a pieno la struttura narrativa di questo stile e regalando all’ascoltatore un mix di vecchio e nuovo, quasi a ripercorrere gli episodi di dormiveglia su cui l’intera opera si incentra.
Dal punto di vista musicale, “Parasomnia” appare come un’opera valida, sia sotto il profilo compositivo che esecutivo – come d’altronde ci si aspetterebbe da musicisti che hanno da sempre fatto delle loro capacità tecniche un vero e proprio marchio di fabbrica.
Molto interessanti sono i brani come “A Broken Man” e “Night Terror”: pezzi ruvidi e aggressivi in cui la personalità di Portnoy ha la possibilità di riemergere e saggiamente rilasciati come singoli per presentare le sonorità cupe e notturne dell’opera. Particolarmente gradevole è la ballata “Bend The Clock”, che ci riporta indietro ai classici sapori dei Dream Theater grazie ad una bella chitarra acustica in apertura e una parte vocale struggente. Interessante anche “The Shadow Man Incident”, l’ultima traccia dell’album che – nonostante la durata di circa venti minuti – si lascia ascoltare con trasporto, senza risultare troppo difficile da digerire.
Rimanendo nel reame compositivo, è impossibile non percepire forti richiami sonori con i brani e gli album più iconici della band. Come descritto nel nostro track-by-track, “Parasomnia” ingloba molti fraseggi, ritmiche o strutture melodiche che fortemente richiamano brani di “Scenes From A Memory”, e altri lavori celebri della band americana, al punto da suonare come dei veri e propri leitmotiv; tributi al passato, questi, che non si fermano soltanto al lato melodico ma diventano vere e proprie citazioni di vecchi titoli nel testo di “Midnight Messiah”: un brano abbastanza piatto che sembra avere la mera funzione di contenitore per i suddetti riferimenti.
“Parasomnia” è un album che, dopo diversi ascolti, lascia un retrogusto strano, seppur non necessariamente sgradevole; il retrogusto di un’opera che tenta di riproporre un passato, quasi a voler accontentare e far sorridere una fan base di lunga durata, decisamente più vicina al gruppo che fu rispetto a quello che attualmente è.
Sarebbe stato interessante – a nostro avviso – aprire ed esplorare la cassetta degli attrezzi di un Mike Portnoy, che in tredici anni di assenza ha collezionato esperienze sapori e colori provenienti da differenti realtà musicali; esperienze che avrebbero sicuramente arricchito la tavolozza di una band da sempre molto centrata su se stessa e mai troppo aperta alla collaborazione col mondo esterno.
Questo è il principale motivo per cui il lavoro discografico presentato ottiene sicuramente una sufficienza piena, ma rimane come un’occasione persa per dare di più e regalare ai fan un nuovo balzo in avanti creativo; gesto atletico, questo, che i Dream Theater faticano a performare ormai da diversi anni.