DREAM THEATER – Six Degrees Of Inner Turbulence

Pubblicato il 11/02/2002 da
voto
6.0
  • Band: DREAM THEATER
  • Durata: 01:36:17
  • Disponibile dal: 29/01/2002
  • Etichetta:
  • Elektra Records

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Difficile parlare di questo nuovo album in studio dei Dream Theater. Premettendo che non ero rimasto particolarmente soddisfatto delle ultime evoluzioni/non-evoluzioni del five-pieces americano, e che considero esaurito il genio artistico dei Dream Theater con la dipartita dell’ineguagliabile mente creativa di Kevin Moore, credo di poter affermare che ‘Six Degrees Of Inner Turbulence’ sia senza ombra di dubbio l’album più ambiguo e difficilmente classificabile della storia del Teatro dei Sogni. Dopo infatti il back-to-the-roots del precedente ed apprezzatissimo (ma non dal sottoscritto) ‘Scenes From A Memory’, Portnoy, Petrucci e compagni decidono di virare verso una rotta impazzita ed apparentemente multidirezionale, che riesce ad incorporare sia le caratteristiche più ovvie e tronfie dei Dream Theater maghi del virtuosismo prêt a porter, che un gusto più sperimentale (o almeno presunto tale) ed innovativo che tenta di rendere decoro ad un collettivo di musicisti un tempo ritenuti all’avanguardia da chiunque, e che da qualche anno a questa parte sembra ormai rinchiuso nei rigidi schemi dei propri personaggi. ‘Six Degrees Of Inner Turbulence’ si divide in due parti, una prima molto sfuggente ed indefinibile con un unico vocabolo (e probabilmente proprio per questo molto più affascinante), ed una seconda che incorpora una lunga suite nel più classico stile Dream Theater/Liquid Tension Experiment con una montagna di passaggi virtuosistici e luoghi comuni che in una band come i Dream Theater non avrebbero più bisogno di esserci soltanto per il gusto di ‘stupire’, essendo già arcinoti a chiunque. Sia ben chiaro signori, che i Dream Theater siano una band di grandi strumentisti nessuno potrà mai negarlo, e soprattutto nessuno che abbia mai ascoltato anche solo un loro lavoro potrà mai dire il contrario; il problema è che, giunti ormai alla sesta release in studio (settima se includiamo anche “A Change Of Season”), i Dream Theater non dovrebbero avere più nulla da dimostrare al loro pubblico, e potrebbero tranquillamente esimersi dal puntare tutto (o quasi) su quelle stesse abilità tecnico-esecutive che avevamo conosciuto ed apprezzato già ai tempi di “Images And Words” e “Awake”. Il grande presentimento che mi assale, mentre ascolto le tante contraddizioni di “Six Degrees…”, è che quel che resta dei Dream Theater non sappia più davvero come fronteggiare la propria voglia di sperimentazione, discretamente sviluppata nella prima parte dell’album e che in forma seppur differente avevamo conosciuto in quel tanto bistrattato ma condivisibilmente coraggioso “Falling Into Infinity”, nei confronti di quella tendenza conservatrice della loro verve più circense e rocambolesca, fatta di cambi ritmici ormai prevedibili, armonizzazioni e contrappunti scolastici ed ordinari, e soprattutto nella solita mancanza di gusto e parsimonia nell’elargire valanghe di note su note, che un pubblico avido richiede a gran voce. Non vorrei far pesare sul piatto della bilancia esclusivamente i difetti di questo “Six Degrees Of Inner Turbulence”: di pregi, per fortuna, ce ne sono abbastanza anche se solo dopo svariati ascolti è possibile condividere la consistenza dell’ispirazione modernista e kingcrimsoniana (qualcun altro avrebbe detto Tool…) di “The Great Debate”, “Disappear”, “Misunderstood”, o dell’imponenza thrash-oriented dell’opener “The Glass Prison” e di “Blind Faith”, o se vogliamo entrare più nel particolare, dell’eccellente lavoro di un John Myung molto più posato e calibrato che in passato, e di conseguenza sensibilmente maturato come artista. Buono anche il lavoro di John Petrucci alle chitarre, ritornato a riscoprire quel gusto per l’effettistica e per i riff monolitici di scuola Pantera/Overkill/Forbidden che il nostro aveva già ampliamente mostrato di possedere nell’indimenticabile “Awake”, così come è sicuramente degno di nota anche il lavoro di Jordan Rudess, che in alcuni frangenti mostra di essere oltre che ad un virtuoso dei tasti d’avorio, anche un discreto manipolatore di suoni. Quello che invece non convince, è il sempre più imbolsito e sopravvalutato James Labrie, che si trova troppo spesso a disagio nell’incastrarsi con le ardite partiture delle nuove composizioni, e che solo raramente riesce a comporre delle linee melodiche realmente valide e che vadano oltre al mero virtuosismo. Concludendo, “Six Degrees Of Turbulence” è un album senza dubbio di difficile assimilazione, che nell’insieme non riesce a tatuarsi come un vero e proprio punto di svolta ma neanche di arrivo nella discografia dei Dream Theater, e che se da un lato ci presenta una band che tenta l’evoluzione/modernizzazione attraverso un sound più fresco ed immediato, dall’altra continua a stupire sempre di meno con il suo sfoggio di tecnica privo di anima e sostanza. Il voto è sulla sufficienza, ma prendetelo pure come una stroncatura, in quanto da una band del genere sarebbe lecito aspettarsi molto ma molto di più.

TRACKLIST

  1. The Glass Prison
  2. Blind Faith
  3. Misunderstood
  4. The Great Debate
  5. Disappear
  6. I. Overture
  7. II. About To Crash
  8. III. War Inside My Head
  9. IV. The Test That Stumped Them All
  10. V. Goodnight Kiss
  11. VI. Solitary Shell
  12. VII. About To Crash (Reprise)
  13. VIII. Losing Time/Grand Finale
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