7.5
- Band: DREAM THEATER
- Durata:
- Disponibile dal: 09/11/2003
- Etichetta:
- Elektra Records
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Era già evidente all’indomani della pubblicazione di “Six Degrees Of Inner Turbulence”, e lo è ancor di più oggi dopo l’ascolto di “Train Of Thought”: i Dream Theater stanno cercando di sdoganarsi da certe sonorità tipiche del progressive metal, ossia quelle più classicheggianti, pompose e barocche che avevano caratterizzato lavori come “Images And Words” e “Scenes From A Memory”. Obiettivo, questo, sicuramente non semplice, sia perché da un lato quei due lavori di Petrucci e soci sono quelli più universalmente apprezzati, sia perché trovare una nuova via ad un genere musicale caratterizzato da regole piuttosto ferree come quello progressive metal è un’impresa a dir poco titanica. I Dream Theater però ci provano, e questo fatto è già, per chi scrive, apprezzabile: sarebbe stato sicuramente più facile ripetere per l’ennesima volta lo stesso disco, un po’ come fa la maggior parte dei gruppi appartenenti a quella scena (Symphony X su tutti). Qui siamo invece di fronte ad un vero e proprio stravolgimento di coordinate musicali, in realtà piuttosto sottile e mascherato, ma comunque evidente se si ascolta il disco con attenzione. Innanzitutto i Dream Theater hanno completamente cambiato il sound dei loro strumenti, che è sicuramente molto meno effettato, molto più asciutto e diretto, e questo vale soprattutto per la chitarra di Petrucci. In secondo luogo la struttura dei pezzi è stata completamente sconvolta, nel senso che, nonostante la durata (forse in alcuni casi eccessiva), la ricerca della forma canzone risulta sicuramente predominante sul mero tecnicismo. E’ poi inoltre cambiato proprio il mood del suono: se prima c’era una ricerca quasi ossessiva delle atmosfere languide e sognanti, di passaggi di ampio respiro e piuttosto melodici, di momenti epici, oggi in questi sette pezzi tutto viene azzerato e la melodia, seppur presente, viene messa da parte; le atmosfere sono scure e “cattive”, il sogno si trasforma infine in incubo. A tutti gli effetti questo è un disco “nero” e certamente poco luminoso. Il risultato di questa scelta è che in alcuni pezzi (“As I Am” su tutti) le tastiere sono completamente assenti, le chitarre si dedicano molto più al riffing che al soloing , ed in generale la componente “metallica” ha il sopravvento su quella progressive. In realtà gli assoli, le galoppate strumentali , il rincorrersi ed il sovrapporsi di chitarre e tastiere sono presenti anche qui – basti ascoltare “This Dying Soul” o “Endless Sacrifice” per accorgersene – ma il loro scopo è assolutamente diverso: non vogliono essere delle “fughe”, ma piuttosto sono tese a svolgere una funzione che sia strumentale al pezzo. Insomma, i Dream Theater stanno crescendo come songwriter e, in generale, come rappresentanti principali di una certa scena, di cui stanno sperimentando le eventuali evoluzioni. Il cambiamento è evidente, l’allontanarsi da certe sonorità anche: questi sono i Dream Theater post 11 settembre. A voi la scelta: prendere o lasciare.
Vuoi un parere diverso ? Leggi la recensione di Stefano Lummi