7.0
- Band: DREAMARCHER
- Durata: 00: 32:38
- Disponibile dal: 07/10/2016
- Etichetta:
- Indie Recordings
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Tendiamo facilmente ad associare la Norvegia al black metal, ma non è questo il caso: i Dreamarcher rientrano a pieno titolo nella – peraltro vaga ed indistinta – categoria dell’alternative metal, e nello specifico danno vita ad una proposta abbastanza originale e difficilmente catalogabile, che mescola coraggiosamente influenze apparentemente molto distanti tra loro e tinge ogni brano di un colore diverso. Seguendo questo criterio potremmo sicuramente definire l’opener “Beat Them Hollow” grigio piombo; qui convivono echi funeral doom, post black e hardcore, e un gusto melodico dark che contraddistingue tutto il disco. “Impending Doom” è in assoluto il brano più eclettico, impossibile attribuirgli un solo colore: come le giornate primaverili a volte iniziano con il sole per terminare in un temporale, allo stesso modo i norvegesi passano dallo spiazzante indie rock allegro e orecchiabile delle prime note alle sonorità vicine ai Deafheaven più cupi nell’ultima parte del pezzo. In “Burning Remains” i colori sono quelli caldi e un po’ acidi del sole al tramonto: la sezione ritmica gioca un ruolo fondamentale nella struttura della canzone, che vive di groove, psichedelia stoner e del contrasto tra voce pulita e abrasivo cantato tipicamente post hardcore. “Close Your Eyes” , probabilmente l’episodio più debole, ha un feeling più ovattato e notturno – blu notte – e anch’essa, come tutto il disco, vive di contasti, solo che qui anziché andare verso le calde pulsazioni stoner ci si addentra in territori emocore/nu metal. Il lavoro si chiude con un brano articolato, dalla struttura progressive – “Shadows” – anch’esso ricco di suggestioni psichedeliche, che suggeriscono però paesaggi urbani e decadenti, ricollegandosi in qualche modo al grigio freddo del metallo e ai cieli plumbei invernali dell’inizio. Un punto di forza, che funge anche da collante, sono certamente le melodie fredde, dilatate e quasi sospese, tipicamente nordiche. Va detto che non sempre la struttura dei brani appare fluida e in alcuni passaggi i cambi di sonorità appaiono un po’ forzati, ma si tratta comunque di un lavoro nel quale è possibile scorgere un filo conduttore che lega tutte le tracce. C’è molta carne al fuoco (forse troppa) e il songwriting può migliorare, ma il risultato è un debutto interessante e fresco, complice un gusto per i suoni che si allontana dal metal per avvicinarsi al lo-fi, e un’indubbia capacità tecnica.