7.5
- Band: DROPDEAD
- Durata: 00:24:00
- Disponibile dal: 25/09/2020
- Etichetta:
- Armageddon Label
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Ventidue anni possono essere davvero un periodo fin troppo lungo fra un disco e l’altro: tanti infatti ne sono passati da quando i Dropdead hanno rilasciato quello che viene considerato il loro ultimo full-length. Tuttavia, parliamo di una band che praticamente da sempre è ritenuta un’istituzione del circuito hardcore-punk e DIY, la quale, pur non dando alle stampe album veri e propri, è regolarmente attiva sul fronte live in tutto il mondo o tramite pubblicazioni come EP e split, spesso erroneamente considerate ‘minori’. Nel suo anarchico rifiuto di procedere lungo le direttive più ordinarie, il gruppo statunitense ha sempre scelto vie traverse per fare sentire la propria voce, trovando però puntualmente sostegno in una schiera di fan e ammiratori sempre più nutrita e dall’estrazione sempre più variegata. L’influenza che i Dropdead hanno avuto e stanno avendo sul panorama hardcore, powerviolence e grind è innegabile, e non è un caso che la loro discografia includa collaborazioni con Unholy Grave, Converge, Totalitär o Brainoil, band dal background diverso, ma vicine al gruppo di Bob Otis a livello ideologico e attitudinale.
Il nuovo “Dropdead”, ennesima opera omonima del quartetto, sostanzialmente celebra questa importante carriera, presentando ventitre tracce per ventiquattro minuti di durata complessiva che rielaborano i tratti caratteristici della loro proposta sotto un velo di inedita orecchiabilità. Il suono rapidissimo, distorto e nervoso tipico del gruppo questa volta viene infatti abbinato a delle linee vocali leggermente più ragionate e intelligibili: il suddetto Otis sembra più consapevole che mai della portata sovversiva della propria voce, tanto che il suo messaggio va ad acquistare una spinta e una chiarezza mai così importanti e definite nell’economia del sound della formazione di Providence. Le spigolosità di chitarre e batteria di certo non appaiono smussate – siamo pur sempre alle prese con una delle hardcore band più feroci e caustiche della storia di questo genere musicale – tuttavia alcune trame sembrano addensarsi e riacquistare velocità con un nuovo andamento lievemente più armonico, disegnando i soliti scenari tragici carichi di pathos caotico con un rinnovato criterio descrittivo. Come ovvio, vista la brevità di molti di questi episodi, “Dropdead” resta un’opera da ascoltare e da assimilare tutta d’un fiato, come se si trattasse di una sola grande riflessione.
È quasi impossibile che quanto confezionato dagli statunitensi in questa sede riesca ad avere lo stesso impatto di “Dropdead 1993” o “Dropdead 1998”, ma è innegabile che il disco possa vantare uno sviluppo dinamico e, soprattutto, una verve e una mordacità invidiabili, spesso decisamente superiori a quelli di tanti discepoli ben più giovani. Il messaggio portato avanti da Otis e compagni fa il resto: questa è la proposta ideale per chi nella musica di estrazione punk cerca catarsi, un moto di fiera opposizione e un significativo impegno sul fronte dei diritti umani e di quelli degli animali.