7.0
- Band: DUALITY
- Durata: 00:46:40
- Disponibile dal: 03/21/2016
- Etichetta:
- PRC Music
- Distributore: Goodfellas
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Sin dai primi vagiti di pizzicato che udiamo iniziando l’ascolto del disco dei Duality, abbiamo la sensazione di trovarci di fronte ad un lavoro che merita la nostra completa attenzione: non passano nemmeno novanta secondi che infatti veniamo immediatamente sopraffatti da una commistione di suoni, accordi e un impasto di strumenti coeso e serrato. Siamo di fronte ad una composizione technical death (la qual cosa ci mette sempre un certo pregiudizio) con questo “Elektron”, e il marchio è quello di nomi come Atheist, Cynic e i Death dell’epoca “Human” – “Individual”, con una forte componente classica (nel senso proprio di musica classica) e moltissimo jazz, ma messa così finiremmo per svilire gli sforzi del quartetto. Infatti la componente jazz non è come spesso accade un modo per evidenziare eventuali licenze o libertà di interpretazione della musica intesa come materia, bensì troviamo che i Duality stessi siano una formazione che di propria estrazione si trovi a suo agio nella mancanza di etichetta, altrimenti non spiegheremmo a noi stessi irruzioni math e un certo tipo di melodia gipsy come in “Azure” o le felici esplorazioni di “Chaos_Introspection”, con un risultato encomiabile per quanto riguarda – e non è facile – la gradevolezza all’ascolto e la mise en place tecnica (e a tal proposito lasciatevi catturare dagli undici minuti di “Hanged On A Ray of Light” per capire di cosa stiamo parlando). Allo stesso modo però questi marchigiani con una buona quindicina d’anni e un paio di precedenti alle spalle riescono a trovarsi a proprio agio all’interno di un death metal convincente e credibile, che proprio delle sue misture fa forza e non orpello, e se da una parte alcuni slanci di cambio repentino tra brutalità e melodia ricordano act che molto prima di loro avevano esplorato certe vie (ci vengono in mente in qualche modo gli In Vain), la proposta riesce ad essere sempre varia e mai fuori dagli schemi del buon gusto in campo musicale; brani come “Six Years Locked Clock”, “Hybrid Regression” o “Motions”, hanno tutte le carte in regola per fare contenti i deathster più malinconici (vi ci riconoscerete ascoltando), così come un momento come “Plead for Vulnerability” – la cui ispirazione per gli archi deriva da una sonata per violino e piano di Cesar Franck del 1886 – dovrebbe far contenti un po’ tutti per la propria varietà. Paradossalmente è proprio la varietà estrema uno dei punti deboli di quest’album, laddove gente come i già citati Atheist riusciva a rendere varie non tante le proprie influenze quanto il mischiarsi medesimo delle stesse, mentre qua si rischia, ma è un rischio di misura, di fare più collage che non intreccio. Dettagli, si potrebbe dire, ma di dettagli le opere d’arte son fatte: al momento abbiamo un disco molto buono da parte di una band superiore alla media, aspettiamo il pezzo da novanta.