5.5
- Band: DUST BOLT
- Durata: 00:45:36
- Disponibile dal: 23/02/2024
- Etichetta:
- AFM Records
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“Carissimi Dust Bolt…“: potrebbe essere questo l’incipit di una lettera tra amici di penna, imbustata e infilata nella cassetta postale fuori casa. Una missiva confidenziale, tramite la quale vengono espressi i sentimenti più intimi e segreti, manifestando gioie, sottolineando delusioni: e sono proprio queste ultime a destare maggior richiamo, una volta inserito nel nostro stereo il qui presente “Sound & Fury”, quinto album in carriera rilasciato dalla band bavarese.
Li avevamo lasciati cinque anni fa con l’ultimo “Trapped In Chaos”, ennesimo manifesto della loro palese passione per il thrash metal d’annata, spruzzando qua e là una certa melodia di fondo, così da smussare il tiro e renderlo più appetibile alle masse. Una devozione onesta, ma effettivamente sin troppo evidente, che inevitabilmente portava quindi con sé una sostanziale carenza di personalità e conseguente creatività.
Che fanno allora i quattro di Landsberg Am Lech? Contestualmente al cambio di etichetta (fuori la Napalm Records, dentro la AFM), hanno deciso di ampliare completamente il proprio raggio d’azione, andando a toccare i vertici di un morbido metalcore dallo stile simil-Lost Society (si ascoltino “Leave Nothing Behind”, “Disco Nection” e la stessa title-track), inserendovi un po’ ovunque arrangiamenti più vicini ad un southern rock ruffiano e godereccio; senza tuttavia dimenticare la radice thrash, seppur ridotta ormai all’osso, confinata ad un substrato lieve e poco incisivo (“Love & Reality”).
Ben vengano i cambiamenti, nessuna obiezione in tal senso; nessuno impone infatti di rimanere ancorati a vita a certe idee, se queste tra l’altro non appagano la propria volontà. Tuttavia, se si vuole cambiare, si deve cercare una direzione quantomeno lineare e definita: qui, in “Sound & Fury”, c’è sì il suono, c’è altrettanta furia, ma quello che manca è propria una linea guida che individui questa nuova proposta targata Dust Bolt, va bene mescolare le carte in tavola, ma stavolta ci sembra che abbiano un attimino esagerato.
Passare dal versante più thrash di “I Witness” all’ariosa “I Am The One”, dal groove rabbioso di “You Make Me Feel (Nothing)” sino alla ballad finale “Little Stone” (francamente fuori luogo), attraversando i rimanenti otto pezzi, risulta in sostanza un’impresa abbastanza ardua: il continuo rimbalzo tra un ritmo e l’altro non riesce infatti a tenere unito quel filo sonoro e rabbioso che il gruppo tedesco avrebbe voluto imbastire.
Preso atto della nuova strada intrapresa, attendiamo il prossimo passo discografico per capire meglio cosa intendono fare i quattro della Baviera.