8.0
- Band: DVNE
- Durata: 00:58:15
- Disponibile dal: 19/04/2024
- Etichetta:
- Metal Blade Records
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Gli scozzesi Dvne arrivano alla fatidica prova del terzo album in studio forti di due lavori precedenti dal buon esito, in crescendo di maturità e carichi, se non di abbacinante originalità, di una personalità già marcata. Prima “Asheran” del 2017, poi “Etemen Ænka” del 2021 avevano mostrato le buonissime capacità di Victor Vicart, francese trapiantato a Edimburgo, e compagni nella proposizione del loro progressive post-metal con chiare influenze sludge/stoner, tanto che i Mastodon erano assurti a principale termine di paragone dei Dvne. Ora, con questo nuovo “Voidkind”, ancora edito e promosso dalla Metal Blade, i cinque musicisti si ripetono senza troppi problemi, ben cementando il giudizio lusinghiero che già avevamo espresso su di loro.
Con un solo lieve, ma sentito, cambio di formazione – il tastierista Richard Matheson ha lasciato il posto ad Evelyn May, che a sua volta ha ceduto la posizione a Maxime Keller, anche lui francese come il mastermind Vicart – i Dvne si ripresentano compatti all’appuntamento con la prova del nove, schierando appunto Vicart a voce/chitarra/tastiere, Dan Barter a voce/chitarra, Dudley Tait dietro le pelli, Allan Paterson a basso/chitarra ed il nuovo Keller ancora alle tastiere.
Come si evince da tali informazioni, la band è formata da polistrumentisti che sanno ben destreggiarsi tra più di uno strumento e la perizia tecnica è una delle principali peculiarità di tale ensemble. Però, attenzione, pur proponendo musica impegnativa da suonare e pregna di progressioni aritmetiche, passaggi contorti, tempi, pause e controtempi, i Dvne puntano moltissimo sull’emotività e sulle sensazioni che riescono a creare attraverso la loro arte. Sotto questo punto di vista, a parte di nuovo i Mastodon che restano un riferimento piuttosto importante, possono essere tranquillamente accostati ai migliori The Ocean e – perchè no? – ai nostrani, indimenticati Sunpocrisy, non solo per le tematiche filosofico/mistiche trattate.
Le strutture del riffing si inalberano spesso su sentieri serrati e circolari, e le chitarre che sentiamo nitidamente sono spesso tre se non anche quattro, impegnate ognuna a coprire frequenze diverse per dare una portata immersiva veramente profonda e avvolgente.
Chiaramente si potrebbe parlare di progressive metal esclusivamente grazie alla presenza di tali strutture alla base delle composizioni dei Dvne, ma quando poi i ragazzi sanno anche quando, come e dove inserire pause acustiche, momenti pacati o addirittura due intermezzi ambient, “Path Of Dust” e “Path Of Ether”, risulta ancor più evidente il loro abile padroneggiare del genere suonato. La sezione ritmica – sebbene avremmo preferito un basso più ‘coinvolto’ ed impattante – fa il proprio sporco lavoro e Tait ai tamburi cesella parecchio di fino per dare riconoscibilità ad ogni traccia. Se proprio, invece, dovessimo trovare un punto debole in questa incarnazione dei Dvne, lo troveremmo in alcune linee vocali pulite, troppo alte, acute, e forse non pienamente all’altezza del quid emotivo che la band in toto ambisce a trasmettere.
La tracklist, pur durando una impegnativa ora, va paradossalmente a crescere, presentando gli episodi migliori nella seconda parte; non per nulla “Abode Of The Perfect Soul” e “Plērōma”, i due pezzi più belli, sono stati scelti quali singoli di presentazione nonostante il loro discreto minutaggio. In questi due brani si evidenzia in modo praticamente perfetto quanto enunciato fin qui, dando un’idea a tutto tondo di ciò che sanno fare i Dvne, prima che la lunga e apocalittica “Cobalt Sun Necropolis” ponga fine alle danze in modo epico e ridondante.
A monte di siffatto trittico di chiusura, ci preme segnalare altre due canzoni che illuminano la prima parte di “Voidkind”: “Sarmatæ”, che in poco tempo e con esplosioni di voce pulita ci conduce al tellurico finale baciato da un groove asciutto ma potentissimo; e poi “Eleonora”, i cui primi minuti sono probabilmente la cosa più emozionante del lavoro, con dei giri ipnotici validissimi e voci che si interscambiano magnificamente, a richiamare in modo evidente, non sappiamo se con consapevolezza o meno, i già citati Sunpocrisy, soprattutto nelle parti tranquille.
Capaci di risultare interessanti sia sulle brevi distanze, sia sulle medie, così come sulle lunghe, i Dvne lanciano sul tavolo il loro personale poker d’assi, un disco che cresce molto con gli ascolti, ma che non ha bisogno di chissà quale preparazione o attenzione per essere apprezzato fin da subito. Un sound che colpisce allo stesso modo cuore, cervello e stomaco, attraverso il feeling emanato, la tecnica sopraffina e la giusta dose di violenza. Andate e ascoltatelo in pace, nel vuoto del titolo ancora meglio.