8.5
- Band: DYING FETUS
- Durata: 00:34:14
- Disponibile dal: 27/07/1998
- Etichetta:
- Morbid Records
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Prima dell’esplosione commerciale di Suicide Silence, Emmure e Carnifex; prima che la dicitura ‘death-core’ diventasse sinonimo di musica estrema da encefalogramma piatto; prima che un’estetica fatta di tatuaggi, lobi dilatati e canottiere relegasse a mero contorno l’effettiva pericolosità del songwriting; prima di tutto ciò, in una Baltimora di fine anni ’90, un gruppo riscriveva per sempre le coordinate di certo extreme metal a stelle e strisce, dando il la – forse inconsciamente – ad uno dei sottogeneri più discussi e chiacchierati degli ultimi lustri. La band in questione si chiamava Dying Fetus, e dopo un esordio dai toni ancora piuttosto acerbi, “Purification Through Violence” del 1996, si apprestava a rilasciare sul mercato quello che di lì a poco sarebbe stato visto come un autentico miracolo underground, frutto di un ingegno e di una capacità di spaziare tra i generi senza eguali per l’epoca. Licenziato dalla piccola e ormai defunta Morbid Records, “Killing On Adrenaline” è l’inizio di una corsa inarrestabile ai vertici del movimento death metal; una scarica adrenalinica (perdonate la reiterazione) in grado di contrarre i muscoli e gonfiare i polmoni con un urlo di protesta più forte di qualsiasi ingiustizia sociale. La summa perfetta dello stile e delle influenze di due giovani musicisti – John Gallagher e Jason Netherton – cresciuti sia con il mito di Suffocation e Napalm Death, sia con la fissa per l’hardcore metallizzato di Integrity e All Out War, per un cocktail di sonorità semplicemente da infarto. Una line-up già di per sé irripetibile completata dal secondo chitarrista Brian Latta, alla sua ultima apparizione tra le fila del Feto Morente, e soprattutto dall’allora esordiente Kevin Talley, il cui drumming tentacolare e strabordante di groove è uno dei primi elementi a saltare all’occhio durante l’ascolto. Già, il groove. Il filo rosso che lega tra loro gli otto episodi della tracklist e che da questo momento in poi sarà collegato automaticamente al monicker della formazione, estremizzazione concettuale delle cadenze demolitrici di un “Pierced From Within” e reso ancora più esplosivo e dinamico dai suddetti influssi ‘core’. Poco più di mezz’ora di musica in cui si perde letteralmente il conto delle ripartenze e dei successivi breakdown, esaltata da un guitar work ora vorticoso e spasmodico, ora catchy e grassissimo, all’interno del quale ogni riff finisce per diventare un piccolo evento. Un discorso a parte andrebbe poi fatto per le performance ai microfoni di Gallagher e Netherton: spartendosi equamente growling e screaming vocals, i Nostri danno vita a duetti di rara efficacia e ferocia, perfetti per sottolineare i contenuti polemici dei testi e per conferire ulteriore espressività al tutto, come dimostrato dall’incipit rivoltoso di “We Are Your Enemy” o dal refrain assassino del mini-classico “Kill Your Mother/Rape Your Dog”. Parliamo insomma di un’opera chiave nello sviluppo della scena death/grind/hardcore mondiale, inferiore all’acclamatissimo “Destroy The Opposition” soltanto a causa di una produzione meno curata (specie per quanto concerne la batteria). Una buona parte di certa musica estrema moderna passa da qui.