7.5
- Band: DYING FETUS
- Durata:
- Disponibile dal: 13/05/2003
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Spin-go
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Per chi scrive l’attesa per l’uscita del nuovo album dei Dying Fetus era a dir poco spasmodica, visto che erano trascorsi quasi tre anni dal fantastico precedente “Destroy The Opposition”. Il leader e chitarrista John Gallagher aveva praticamente dovuto riformare la band da capo in seguito all’abbandono (o alla cacciata) di tutti gli altri membri del gruppo all’indomani della conclusione dell’Xmass festival del 2000, e si è preso tutto il tempo necessario per la composizione dei brani per questo nuovo album, che ha l’arduo compito di bissare il successo del lavoro precedente e di far spiccare definitivamente il volo ai nostri verso il meritato riconoscimento e una fetta di pubblico più ampia. Ora che “Stop At Nothing” è tra noi, si può affermare che tanta attesa sia stata in parte ripagata, visto che con questo nuovo disco i Dying Fetus confermano di essere diventati una delle punte di diamante su cui verte il metal estremo mondiale. Diciamo ‘in parte’ perché questo nuovo lavoro è sì valido, ma forse un pochino inferiore al precedente, che però, a dirla tutta, era un vero capolavoro e che quindi difficilmente poteva essere superato. Lungi da noi, quindi, il criticare “Stop At Nothing”, album che ha solo il difetto di arrivare dopo uno dei dischi migliori che la scena death-grind abbia partorito nell’ultimo lustro (se non di più) e di contenere un paio di pezzi soltanto discreti che inficiano un po’ la valutazione finale. Addentrandoci in un’analisi un po’ più dettagliata, differenze sostanziali con “Destroy The Opposition” non ce ne sono: si ha quindi ancora a che fare con una band dal talento impressionante capace di miscelare a dovere death metal, grind, hardcore e un pizzico di sano vecchio thrash per un risultato come sempre originalissimo e letale. La voce del nuovo arrivato Vincent Matthews non è molto distante da quella del suo predecessore Jason Netherton (ora leader dei Misery Index) e con la sua impronta hardcore ben si abbina al profondissimo growl di mister Gallagher per una serie di ‘duetti’ aggressivi e dal sicuro impatto, mentre anche gli altri nuovi membri non fanno per nulla rimpiangere la vecchia formazione (tecnicamente parlando si è rimasti sempre su livelli d’eccellenza). Tra tutto questo ben di dio, un piccolo appunto va però forse fatto ai suoni scelti per la batteria, la quale è davvero potente e ben definita, ma forse un po’ troppo triggerata, tanto che a volte sembra quasi finta. Si tratta comunque di cose soggette al gusto personale e comunque marginali in quanto, per il resto, “Stop At Nothing” è un album davvero buono, una raccolta di otto brani devastanti, complessi, tecnici, groovy e dinamicissimi (a tratti ci si può addirittura saltellare sopra… altro che Limp Bizkit!), dotati inoltre di testi intelligenti, condivisibili o meno ma comunque tutt’altro che banali. L’ennesima conferma che questo genere ha ancora molto da dire e non è solo grezzo ed ignorante come purtroppo pensa ben più di una persona. Consigliato ovviamente a tutti coloro che già hanno apprezzato i vecchi album e a chi apprezza anche solo uno dei generi da cui la band trae ispirazione: qui troverete almeno una cosa che vi piacerà, ve lo assicuriamo. Avviandoci alla conclusione, non ci resta che rinnovare i complimenti alla band e soprattutto a John Gallagher, un ragazzo che, evidentemente, quando ha scritto pezzi come “One Shot, One Kill” o “Institutions Of Deceit” aveva il chiaro intento di macellare la gente sotto il palco…