8.0
- Band: DYING FETUS
- Durata: 00:36:50
- Disponibile dal: 12/03/2007
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Self
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Un capolavoro come “Destroy The Opposition” non si tocca, ma con il nuovo “War Of Attrition” i Dying Fetus hanno probabilmente dato alle stampe il disco che più di ogni altro nella loro discografia riesce ad avvicinarsi a quei livelli. Con una lineup rivoluzionata per l’ennesima volta in pochi anni (il batterista Eric Sayenga è infatti stato sostituito dall’ex Divine Empire Duane Timlin, mentre il frontman Vince Matthews è stato licenziato e il suo posto è stato preso dal bassista Sean Beasley), la brutal-core band americana ha ancora una volta evitato di disorientare i propri fan con un lavoro stilisticamente innovativo, tuttavia i quattro anni dalla pubblicazione del precedente “Stop At Nothing” non sono trascorsi invano. Se infatti non è possibile rintracciare alcuna significativa novità nel songwriting dei nostri, è comunque facile rendersi conto come le otto tracce che costituiscono “War Of Attrition” siano mediamente più curate di quelle contenute nell’ultimo lavoro, il quale – ricordiamo – era stato concepito da una formazione ancora più traballante di quella attuale e presentava un paio di episodi un po’ frettolosi e sottotono. Oggi, con il suddetto Beasley e il chitarrista Mike Kimball saldamente al loro posto ormai da quattro anni, il cantante/chitarrista e leader indiscusso John Gallagher deve essersi sentito maggiormente a proprio agio nella fase di stesura dei brani, ecco perchè, pur essendo nel complesso in linea con il materiale di “Stop At Nothing”, questo nuovo album suona ben più fresco ed ispirato. Insomma, niente esperimenti, ma pezzi più coinvolgenti e meglio strutturati rispetto al recente passato, a partire dall’opener “Homicidal Retribution” (il pezzo più convincente dai tempi di “Destroy The Opposition”), per arrivare alla lunghissima “Unadulterated Hatred” e alla conclusiva “Obsolete Deterrence”, la cui parte finale iper groovy promette massacri in sede live tanto quanto classici come “Killing On Adrenaline” o “Born In Sodom”. Piace infine davvero molto la produzione: meno “triggerata” e dunque assai più ruvida e potente di quella di “Stop At Nothing”. Siamo in definitiva alle prese con un lavoro che se da un lato non sorprende, dall’altro risulta decisamente piacevole dal primo all’ultimo minuto. In futuro sarà forse meglio che i Dying Fetus inizino a cambiare almeno un po’ le carte in tavola, ma per il momento nulla ci impedisce di essere felici per questo ritorno. Voto lievemente arrotondato per eccesso.