6.5
- Band: DYMNA LOTVA
- Durata: 01:12:10
- Disponibile dal: 04/08/2023
- Etichetta:
- Prophecy Productions
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C’è un’infinita distesa di malinconia nel terzo full-length dei Dymna Lotva, band bielorussa attiva dal 2015. “Зямля пад чорнымі крыламі: Кроў” (“La terra sotto le ali nere: Sangue”) è il titolo di un album che probabilmente rispecchia lo stato d’animo del duo di Minsk, affacciato sui tragici avvenimenti che tormentano la loro terra e, soprattutto, quelle circostanti. Un’altra triste vicenda ha segnato le vite di Katsiaryna e Jauhien: i Nostri sono dovuti fuggire dalla Bielorussia a causa di un’inconcepibile persecuzione politica e dei continui tentativi di censura ai danni della loro arte da parte della dittatura di Lukashenko. Nonostante queste disavventure, la band ha continuato a battere il proprio percorso musicale con buoni risultati fino a farsi notare dalla Prophecy Productions, nota etichetta tedesca, che ha prodotto il nuovo album. Un lavoro che, stilisticamente parlando, riprende il filone musicale dei precedenti dischi, mettendo in mostra un dipinto post-metal piuttosto atmosferico nel quale si amalgamano tinte purpuree di doom con quelle nere del black metal. Songwriting e produzione sono gli elementi più riusciti del disco: ogni brano presenta diverse stratificazioni sonore che compongono una struttura compatta, avvolta da un dolore costante. Il sound è pulito, equilibrato e potente, ricamato da atmosfere opprimenti che, man a mano, si stringono in una morsa di soffocamento, come un cappio alla gola dell’impiccato. Le voci di Katsiaryna e Jauhien si alternano in un canto disperato, urla e melodia danzano come fantasmi nel buio del dolore.
I georgiani Psychonaut 4 potrebbero aver ispirato musicalmente i Dymna Lotva, ai quali va comunque riconosciuta una personale identità sonora: il loro post-metal è ricco di sfumature che richiamano le musiche popolari dell’Europa orientale, basti ascoltare “Buried Alive” e “Freedom”. Il cantato in lingua madre porta l’ascoltatore in un viaggio nell’angolo freddo ed angusto della guerra più recente, descritta da arrangiamenti sonori multiformi che mostrano ferite e cicatrici: due modi di intendere la tristezza.
“Hell” è forse il pezzo più rappresentativo dell’animo della band, che trasforma il pianto di un bambino in un urlo straziante e rabbioso, accerchiato da ritmi sincopati e dalla poesia di un sassofono. “Cruelty” e “The End”, invece, esprimono la parte più feroce del duo, mettendo in mostra una ritmica scrosciante attraversata da riff aggressivi nei quali si inseriscono sezioni melodiche.
L’ottima prova stilistica dei Dymna Lotva non nasconde il vero e unico difetto dell’album, che è quello di specchiarsi assiduamente in sé stesso. I tredici brani, seppur godibili, alla lunga stancano per via delle similitudini sonore che li accomunano; la durata di oltre un’ora mette a dura prova l’attenzione dell’ascoltatore, che inevitabilmente tende ad attenuarsi. Un lavoro più compatto e meno dispersivo avrebbe dato maggior risalto all’originalità compositiva espressa dai Nostri. Nonostante tutto, se lo desiderate, lasciate che questo lungo treno vi trasporti lontano, lungo il pendio di vite martoriate e tragedie sfocate. Il paesaggio ghiacciato fermerà il tempo, ma non il vento della tristezza che ritroverete in qualsiasi stazione in cui voi vogliate scendere.