7.0
- Band: EARTH
- Durata: 00:45:08
- Disponibile dal: 07/02/2012
- Etichetta:
- Southern Lord
- Distributore: Goodfellas
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Non delude, Dylan Carlson. Non delude mai. Passa poco meno di un anno, ed ecco che il mitico chitarrista/sciamano di Seattle ci consegna il prevedibile ma stra-gradito seguito a quel “Demons Of Light, Angels Of Darkness” parte prima che ci aveva piacevolmente coccolati e storditi solo nel 2011. Sul fatto che la formula degli Earth nella loro seconda fase (quella post-reunion iniziata con “Hex…”) sia ormai consolidata sulle coordinate ormai immancabili di un lavico minimal-blues rallentatissimo e molto “roots” (contaminato com’è da suoni e mood tipici del folk made in USA), su quello ormai non c’è più alcun dubbio. Ma non si può per questo concludere che la ricerca musicale di Carlson si sia interrotta. Anzi, dopo anni passati ad inondare l’etere di watt pachidermici ed esplorare il concetto di lentezza come forma di estremismo, Carlson sembra ora voler intraprendere la medesima strada sotto il punto di vista del minimalismo, e rendere la sua neoritrovata quiete, musicalmente, ancora una volta “insopportabile”. Gli Earth erano rivoluzionari agli esordi e, come per tutti i geni e gli innovatori, anche Carlson alla fine ha smesso di inseguire la rivoluzione unidirezionale a ogni costo, e ha deciso di guardare altrove, soprattutto al proprio interno, per scoprire se stesso. Fare una cosa, d’altronde, non ha senso se non si sa perché la si fa, e Carlson deve aver percepito il vuoto: si è fermato, si è guardato indietro, ed è tornato a colmarlo. “Demons Of Light Angels Of Darkness II” dunque batte gli stessi sentieri dei precedenti tre album, ma non ci fa smettere di chiederci cosa verrà dopo, mantenendo l’aura di fascino e mistero di questo imprescindibile progetto musicale assolutamente immutata. Sotto l’aspetto sostanziale, se si vuole prendere la musica per quello che è, slegata dall’interpretazione d’insieme del mondo degli Earth, le aspettative rimangono egualmente soddisfatte, grazie a cinque canzoni strazianti e delicatissime che rivelano un gusto nella composizione, nelle atmosfere, e nella comunicatività musicale che in pochi possono vantare. Il lavoro alla chitarra di Carson è come sempre sublime, pur nel suo ipnotico e circolare immobilismo, e là dove le singole note di un qualunque altro chitarrista inevitabilmente cadrebbero se lasciate a sé nel vuoto più totale, le sue magicamente continuano invece a riverberare e fluttuare, e il loro cristallino trillo sembra non affievolirsi mai, creando un vero e proprio flusso uditivo irresistibile. Allo stesso modo, il lavoro del violoncello di Lori Goldston è impeccabile e suoi archi creano un backdrop perfetto a cotanto straziante “scorrere”. A tutto ciò unite delle sensualissime linee di Hammond e il suono di conchiglie che vibrano in sottofondo, e l’immagine di un vastissimo e incredibile mare nero non tarderà a materializzzarsi nella vostra mente, così come i brividi alla base del collo.