5.5
- Band: EARTH SHIP
- Durata: 00:43:30
- Disponibile dal: 15/10/2012
- Etichetta:
- Pelagic Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
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Anche per gli Earthship si può fare tranquillamente lo stesso discorso già fatto per i compagni di label Abraham pochi giorni fa su queste pagine. La band berlinese, infatti, appare essere null’altro che un altro penoso clone dei The Ocean di Robin Staps, il quale ha pubblicato anche questo lavoro tramite la sua Pelagic Records, come in preda a un qualche impulso autocelebrativo. Anche qua, come nel caso degli Abraham, ci troviamo di fronte ad un secondo album che nulla fa per ampliare il discorso essenziale e blando del debutto e che semmai incastra ancora di più la band in un pantano di metalcore incolore, pomposo e tremendamente derivativo. I riff di “Iron Chest” sono asettici, compressissimi e dotati di un sound enorme e tonante che appare completamente innaturale e dalle tinte del tutto artefatte. Sembra che la band abbia dato forma a queste canzoni usando uno stampo creato dai The Ocean ai tempi di “Fluxion” e, in maniera ancor più netta, di “Aeolian”. I riff sono granitici, rocciosi, macchinosi, e dal vago retrogusto cibernetico, quasi “tech-metal”, in maniera non dissimile da ciò che si sentiva su “Calculating Infinity” dei Dillinger Escape Plan (ma chiaramente svuotato di tutto il genio che era concentrato in quel lavoro) o dei Between The Buried And Me… ma siamo lontani anni luce da entrambi, persi in un accatastamento di riff tutti uguali che sembra del tutto casuale e caratterizzato da una contingenza a tratti rovinosa. Come nel caso del lavoro precedente si intravedono nel sound degli Earthship vecchi vagiti sludge che, suonati con cotanta foga progressiva, rimandano direttamente ai Mastodon, anche grazie a voci a tratti teatralizzate per sembrare più schizoidi; soluzione, questa, adottata con successo da Brent Hinds sugli album più recenti dei georgiani, e dunque in questa sede, purtroppo per i Nostri, completamente banalizzati e dal forte puzzo di stra-sentito. La band pare utilizzare anche parecchie delle proprie energie per imbastire un impianto musicale dotato di un alto coefficiente di imprevidibilità e quasi esclusivamente basato sul cambio di tempo non annunciato, su variazioni ritmiche funamboliche e su metriche quasi sempre dispari che sembrano avere come obiettivo quello di spiazzare chi ascolta e raccogliere ovazioni per le capacità tecniche della band. Sono espedienti ardui e difficilmente maneggiabili, però, che sarebbe sempre meglio lasciare ai (pochi) soliti noti che padroneggiano la materia. Gli Earthship avrebbero fatto meglio a concentrare i propri sforzi per sviluppare un sound più semplice ed efficace, più focalizzato, coeso e personale anziché partorire l’ennesimo album di metalcore progressivo (e dall’immancabile tinta “post”) macho e pomposo che fa mostra costante di muscoli onnipresenti, per nulla capaci però di donare alla band un ruolo di spicco senza che ci sia dietro un cervello in grado di imporre una qualche personalità ad un suono blandissimo, completamente scolorito ed artefatto.