7.5
- Band: (ECHO)
- Durata: 00:55:14
- Disponibile dal: 13/09/2019
- Etichetta:
- BadMoodMan Music
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“Below The Cover Of Clouds” rappresenta un ottimo esempio di evoluzione per sottrazione, senza che questo procedimento di asciugamento e spogliazione del suono vada minimamente a intaccare il fascino di un’identità già perfettamente messa a fuoco. Nel caso degli (Echo) e del loro terzo album, quel che va evaporando è la connotazione prettamente doom e in generale la forza metal ad ampio spettro dei bresciani. Nella scultura di una figura di dolce afflizione malinconica, i cui connotati fondamentali i cinque hanno definito con cura già agli esordi, gli (Echo) hanno espanso i momenti di quiete, ricorrendo in abbondanza ad arpeggiati, ricami elettroacustici, vocalizzi ricolmi di tristezza ed emananti toccante fragilità. Le influenze ad ampissimo spettro della band, comprendenti il post-metal atmosferico, lo sludge, il death melodico, progressive, funeral doom, si amalgamano e stemperano in un discorso che se ha ancora avvisaglie di quelli che sono gli ascolti dei musicisti – in fondo non stiamo parlando di un act così sperimentale – d’altro canto emerge per una personalità granitica. Annodandosi saldamente ma con gentilezza agli splendori ombrosi di “Devoid Of Illusion” e “Head First Into Shadow”, il nuovo album ci conduce in un altro viaggio fra morbide caducità, struggenti afflizioni, progressioni trascinanti, rari sprazzi di veemente brutalità.
Il filo conduttore è spesso rappresentato da lunghi giri melodici, che si dischiudono in tutta la loro potenza emotiva solo col passare dei minuti, quando in partenza possono sembrare quasi banali, nulla di che. La luminosità della registrazione valorizza un lavoro di chitarra cangiante e privo di particolari asprezze, incentrato sull’evocazione di atmosfere languide, catatoniche. In questo è fondamentale anche il modo di suonare la batteria, lontana da qualsiasi volontà distruttiva, piuttosto attenta a ad armonizzarsi a un contesto prevalentemente pacifico: i tambureggiamenti risaltano per fantasia e tocco moderato, una firma di grande finezza all’interno di canzoni che amano distendersi piano, barche alla deriva in un calmo fiume di arrangiamenti preziosi e note sinuose. L’attività di limatura interessa anche le parti vocali, che danno il meglio su registri puliti e nel contributo delle seconde voci guadagnano enfasi ed energia, sottolineando adeguatamente i passaggi più catchy dei singoli brani. Nonostante la complessità – in parte magistralmente occultata – delle tracce, non mancano parentesi che al vagare malinconico preferiscono scatti in avanti e impavidi crescendo, offerti senza cesure o strappi troppo bruschi.
I toni di ballad gothic metal di “My Burden” e, sull’altro lato della medaglia, il midtempo crudo e sinistro di “The Ferryman”, sono i due estremi entro cui si muove il gruppo, abile nel sacrificare distorsione e impeto per descrivere un quadro emozionale articolato e che rifugge le facili lacrimosità. Come, del resto, non ha interesse a caricare i toni quando i retaggi melodic death riemergono, quanto a utilizzarli per dare sfumature inedite e a loro volta passionali alla musica. C’è in fondo anche un piglio teatrale, molto drammatico, nel dipanarsi di “Below The Cover Of Clouds”, che può essere brusco e diretto, oppure ermetico ed elusivo, non presentando una linearità di azione così prolungata da far capire in anticipo la direzione del pezzo. Il dondolante dormiveglia, a interruzioni umorali, del disco convincerà ancora una volta i fan della formazione bresciana, come non mancherà di essere apprezzato da chi consuma pubblicazioni altrettanto poetiche come quelle di Novembre, ultimi Katatonia, Paradise Lost, Swallow The Sun. Musica per addolorarsi e compiangersi, ma senza affogare in abissi di dolore.