7.5
- Band: (ECHO)
- Durata: 00:49:06
- Disponibile dal: 25/11/2022
- Etichetta:
- Black Lion Records
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Avevamo lasciato gli (Echo) nel 2019 alle prese con un disco, “Below The Cover Of Clouds”, dai toni abbastanza smussati, un death-doom melodico che concedeva molto all’ariosità, al divagare verso atmosfere rarefatte, comprendendo numerosi passaggi pacati e dando una generale impressione di sofficità di ascolto, pur rimanendo in un contesto di metal estremo. Col quarto album “Witnesses”, invece, anche se non viene ripudiata l’impronta del predecessore, ritroviamo degli (Echo) intorbidati nei suoni, incupiti nell’animo, più scuri e ruvidi nel rappresentare un universo sonoro simile nei punti di partenza al passato, solo affrontato con un piglio più astioso e scorbutico. Della band, fin dagli esordi, abbiamo apprezzato la varietà e variabilità del suono, la capacità di scrivere musica personale fuori dai cliché nonostante la piena adesione ai dettami del doom estremo dai pronunciati contorni melodici. Vuoti e pieni, melodie accattivanti e bruschi midtempo, progressioni dolceamare, frustate di dolore e malinconie assortite compongono con coloriture accese il quadro sonoro dipinto dettagliatamente dai quattro bresciani, che paiono aver convogliato nell’album le incertezze e le angosce del periodo pandemico.
È nuovamente un disvelarsi cauto, quello degli (Echo), attraverso tessiture chitarristiche elaborate ma senza eccedere, che mescolano le rotondità del death-doom nordico di gruppi come gli Swallow The Sun e gli accompagnano una certa drammaticità da gothic metal anglosassone, aggiungendo infine un tocco crepuscolare che guarda invece alle migliori realtà italiane, a partire dai Novembre. L’aspetto lirico, curato dal cantante Fabio Urietti, è quanto mai centrale, perché spesso gli strumenti paiono rimanere in sospeso, sullo sfondo, per far risaltare le parole, che arrivano amare e segnate da una tristezza sedimentata nel tempo. Sono in numerosi casi le tastiere a prendersi il ruolo di protagoniste e a dettare la linea emotiva, intervallando temi perlopiù delicati ed eleganti, ai quali le chitarre fanno da contrappunto ora con lunghi, sentiti, solismi, ora con riff massicci e incalzanti. La difficoltà con gli (Echo), al confronto con altre realtà del settore, è quella della loro rinuncia in partenza a soluzioni di immediata presa, come di non voler esasperare i toni quanto a pesantezza e densità del suono.
I contributi degli ospiti arricchiscono e nobilitano un disco già ricolmo di notevoli dettagli e arrangiamenti ben calibrati: sentiamo gli interventi vocali di Alexander Högbom degli October Tide in “Laudanum”, le solenni tastiere cimiteriali di Don Zaros in quattro delle otto tracce, ed è ancora più importante il contributo dell’ex Draconian Heike Langhans in “My Covenant” e “Chemical”. Qui rivive lo spirto del gothic metal novantiano più puro e meno contaminato di rudezze death metal, attraverso un duettare di voci dove i sentimenti ci arrivano addosso scabri e autentici, contrapponendo il rauco cantato di Urietti e la leggiadria della Langhans.
Il lavoro sulle voci è stato particolarmente meticoloso e dà un tocco personale alle composizioni, che spiccano pure per partiture di batteria fantasiose ma poco invasive (ad opera di un altro musicista esterno alla line-up, Francesco Bassi), donanti un ritmo distintivo e non lineare anche ai momenti apparentemente più scarni e minimali. “Witnesses” è frutto di una band che ha saputo ancora una volta confrontarsi prima di tutto con se stessa, rimescolare leggermente le carte senza venir meno alla propria identità, approfondendo alcuni concetti e mettendone in risalto altri lievemente in secondo piano nei dischi precedenti. Gli (Echo) sono una certezza del panorama doom nazionale ed europeo, una realtà di riferimento soprattutto per chi cerca un po’ di finezza e calma nel raccontare malesseri e prostrazioni.