8.0
- Band: EINSTÜRZENDE NEUBAUTEN
- Durata: 00:44:07
- Disponibile dal: 15/05/2020
- Etichetta:
- Potomak
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Gli Einstürzende Neubauten mancavano all’appello degli album in studio da ben sei anni, da quel “Lament” che – pur composto da materiale inedito e inserito a pieno titolo nella sequenza discografica della band tedesca – era in fondo un unicum a sè stante; una sorta di concept album che metteva a nudo gli orrori della Prima Guerra Mondiale, legando in qualche modo il soggetto alla nascita della società moderna, e a ben vedere anche allo sviluppo coevo delle avanguardie artistiche. In tal senso, quindi, “Alles In Allem” riempie un vuoto di brani ‘veri e propri’ che risale a “The Jewels”, a suo volta però gioco sperimentale di divinazione basato sui tarocchi, e finisce quindi per ricollegarsi addirittura al 2007 e a quel “Alles Wieder Offen” che aveva fatto storcere il naso a parte dei fan. L’excursus storico era necessario per comprendere due temi che emergono con forza dall’ascolto di “Alles In Allem”: gli Einsturzende Neubauten non sono più i rumoristi psicotici degli anni Ottanta (e parte dei Novanta), e tanto meno hanno da dimostrare nulla ai potenziali ascoltatori. Al tempo stesso, però, la direzione musicale ormai più introspettiva e placida trova in queste tracce declinazioni sorprendenti e stimolanti. È come sempre la voce suadente e cerimoniale di Blixa a svolgere la parte del leone, in grado di passare all’interno della stessa canzone da tonalità cupe ed evocative a ritmi quasi danzerecci. I campioni sonori e vocali non mancano, come evidente nelle iniziali “Ten Grand Goldie” e “Am Landwehrkanal”, la prima scalpitante e la seconda quasi ritualistica e catartica, ma entrambe dominate dalle invenzioni percussive di Unruh, o ancora nelle sperimentazioni old school di “Zivilisatorisches Missgeschick”. “Möbliertes Lied”, con l’intreccio di chitarre e tastiere ariose, è l’eterno richiamo al krautrock, declinato con quella delicata cupezza che Blixa ha più spesso messo in campo nella lunga permanenza nei Bad Seeds, ma che faceva capolino anche in diversi momenti di “Silence Is Sexy”; mentre è “Perpetuum Mobile” e la sua oscura e fragile marzialità a ritornare alla mente in altri momenti: “Seven Screws”, o “Alles In Alem”, anche grazie alla guida palpitante del basso di Hacke. A metà dell’album, “Taschen” è il trait d’union tra le diverse anime della band: suoni da strumenti e oggetti stravolti al servizio di una struttura da canzone tradizionale e soprattutto quelle cadenze liriche struggenti che i cinque tedeschi sanno pescare dal cilindro in forme mirabili. Negli ultimi brani del disco il suono si fa sempre più scarno e insieme profondo, con il canto ipnotico di “Wedding” e i synth di “Tempelhof” a suggerirci un senso di crescendo panico prima della fine della cerimonia. “Alles In Allem” conferma anche a distanza di quarant’anni il genio e la creatività di questa band che, sotto l’apparente semplicità degli arrangiamenti, ci regala un album intenso da riascoltare molte volte, scoprendo sempre preziosi inserti.