9.0
- Band: ELDRITCH
- Durata: 00:52:44
- Disponibile dal: 20/11/1998
- Etichetta:
- Inside Out
Spotify:
Apple Music:
Gli anni Novanta sono stati una decade altamente sperimentale, durante la quale decine di band hanno lottato arduamente con l’intento di trovare e costruire sonorità all’avanguardia partendo dalle basi gettate nei decenni precedenti, ed inserendo molteplici influenze per arrivare ad un sound maggiormente personale. Una descrizione, questa, che sembra calzare a pennello con gli Eldritch, band livornese – attiva già dal 1988 col nome Zeus – che si era fatta riconoscere dalla stampa internazionale grazie a dischi di assoluto valore artistico come “Seeds Of Rage” del 1995 e (soprattutto) “Headquake” di due anni più tardi, attirando l’attenzione di Limb Schnoor della storica label tedesca Limb Music.
E’ però con la pubblicazione di “El Niño”, a novembre del 1998, che il gruppo di Terence Holler (voce) e Eugene Simone (chitarra) riesce probabilmente a creare il disco più immortale della propria storia. Un lavoro capace di miscelare al suo interno sonorità potenti ed esplosive, prendendo in prestito qualche partitura heavy-thrash, alle quali vengono aggiunti in maniera geniale sintetizzatori e tastiere all’estro del talentuoso tastierista Oleg Smirnoff, fino ad addentrarsi in territori progressivi (Fates Warning, Queensryche), il tutto confezionato alla perfezione grazie alla presenza di melodie vocali molto personali ed altamente incisive, composte dal cantante di origini americane. Il risultato è un disco che va ricordato negli annali, entrando così a far parte di quelle release fondamentali nella storia del rock e dell’heavy metal del nostro paese. Ma anche al di fuori dei confini nazionali, dove il gruppo toscano riesce ad ottenere buoni consensi, dando lustro e aprendo così la strada – in compagnia di Rhapsody, Lacuna Coil e Labyrinth – alla scena tricolore proiettandola su una dimensione internazionale.
Una produzione magistrale, grazie al lavoro svolto presso gli storici New Sins Studio di Loria, Treviso, da parte di Luigi Stefanini, ed un artwork – opera dello stesso Smirnoff – capace di attirare fin da subito l’attenzione sfogliando gli scaffali del negozio di fiducia; negli anni in cui il power metal aveva preso il predominio del mercato musicale, gli Eldritch vennero un po’ inseriti, erroneamente, all’interno di quel calderone, anche se in fin dei conti il gruppo non aveva molto da spartire con quelle sonorità.
“El Niño” è composto da pezzi dal valore assoluto, nove brani con un unico comune denominatore: un’ispirazione più unica che rara. “No Direction Home”, che apre le danze, unisce riff sfrontati ed aggressivi alla Annihilator con synth multiformi piazzati in primo piano. La batteria di Adriano Dal Canto batte forte accompagnando l’ugola caratteristica e riconoscibile nell’immediato di Terence, che con un cambio di ritmo ben assestato piazza un ritornello tutto da canticchiare. Riff oscuri ed un’andatura sincopata formano l’asse portante di “Heretic Beholder”, dove Eugene si lascia andare in spettacolari esplosioni chitarristiche, mentre l’assolo di tastiera firmato Oleg è da antologia. Voci filtrate, un sound moderno e chiare influenze thrash (Metallica, Megadeth e ancora Annihilator) caratterizzano la ruvida “Scar”, prima che sonorità progressive ed un impatto melodico importante escano prorompenti dalle casse con l’immortale “Bleed Mask Bleed”. C’è spazio per l’intrigante lento “The Last Days Of The Year”, pezzo che puntualmente viene rispolverato dagli appassionati durante gli ultimi rintocchi prima di Capodanno, mentre la massiccia “To Be Or Not To Be (God)” colpisce spinta da un sessione ritmica esaltante. A mantenere elevato il livello fino agli ultimi istanti ci pensa l’eleganza sonora della titletrack; le note di basso suonate da Martin Kyhn aprono la via ad una partenza dalle influenze prog e jazz, dove chitarre e tastiere si alternano lasciando presto spazio alla voce eclettica di Terence e a melodie vocali indimenticabili.
La storia degli Eldritch proseguirà attraversando qualche momento non facile (il successivo “Reverse” venne criticato per l’eccessiva modernità del proprio sound, e presto Oleg Smirnoff abbandonò la band per dedicarsi ai Death SS prima e ai Vision Divine poi) e tanti altri lavori di classe fino al recente abbandono del fondatore e storico cantante Terence Holler. La band livornese resterà però impressa nella storia del metal tricolore grazie alla costante qualità delle proprie produzioni e a questo piccolo grande capolavoro, al passo coi tempi e che va ben oltre la semplice classificazione all’interno di un genere musicale, che risponde al nome di “El Niño”.