7.5
- Band: ELECTRIC WIZARD
- Durata: 00:59:05
- Disponibile dal: 18/01/2011
- Etichetta:
- Rise Above Records
- Distributore: Audioglobe
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Torna il freak-show stoner metal di Jus Oburn e dei suoi “stregoni elettrici”, e bisogna dire che torna anche in gran forma. Ormai bussola e punto di riferimento del miglior metal stonato europeo, la band di Dorset continua a portare avanti con risultati oltre ogni aspettativa la sua personalissima formula di pachidermico metal sabbathiano annegato in un abisso cupo ed esoterico di psichedelia, melma seventies ed acidume noise di ogni sorta. Seguendo il trend iniziato con “Witchcult Today” del 2007 (ma questo disco è superiore sotto molti aspetti), la band inglese ribadisce la propria intenzione di voler abbracciare forme e sonorità più rock, dando più piglio e visibilità alle ottime voci pulite di Oburn (che finalmente comincia ad omaggiare Ozzy nella maniera più onesta e sincera che ci sia), e sviluppando ulteriormente una generale forma canzone più energizzata rispetto al cupo e pessimistico passato per il quale la band è sempre stata famosa. Ma non abbiate paura, “Dopethrone” e “Come…” non sono affatto lontani e il passato esoterico e nero della band rimane pur sempre il faro della musica dei Nostri, che stavolta ha semplicemente filtrato e distillato le più pure essenze del proprio passato, per poi ricondensarle, facendo così spazio ad elementi nuovi e freschi. D’altronde, in un genere di appartenenza monolitico e integralista come quello dello stoner-doom, se dopo quasi vent’anni di carriera si insiste ancora sull’irremovibilità e sulla tradizionalità fine a se stessa si rischia di diventare ripetitivi a parossistici all’inverosmile, di fatto rischiando di annegare nella noia una carriera iniziata bene. Ma gli Electric Wizard sono superiori a ingenuità simili, e abilissimi nel rimanere assolutamente fedeli a se stessi introducendo allo stesso tempo dettagli, sfumature, colori, e ombre nuove nella loro musica che li riconfermano come motori trascinanti nel loro microcosmo stonato di riferimento. Oltre alle appena menzionate voci più coinvolgenti e a un evidente “dezavorramento” della componente doom (preservata in toto come si è detto, non abbiate paura, ma stavolta meno opprimente), la band ha fatto anche i giusti calcoli ed è stata intelligente nel dosare gli spazi nell’album. Dalle quattro-cinque tracce estenuanti unite agli intermezzi di pochi minuti che caratterizzavano i vecchi lavori, la band è passata a una forma canzone più fruibile e fluida, spalmando la tensione sonica sull’intero album, con canzoni più corte e di simile durata media, piuttosto che condensandola in montagne isolate di riff come in passato. Ridimensionando gli ostici momenti drone, ed eliminato il piattume e i vuoti noise del passato, la band ha quindi sfornato un album che rockeggia dall’inizio alla fine senza sosta, proiettato in avanti da un vortice infinito di esplosivi riff seventies che definire epici è dir poco. La padronanza dei propri mezzi sembra ormai infinita per i nostri, e gli assoli, che data la lunghezza potrebbero risultare stucchevoli ed estenuanti, sono invece avvincenti, sicuri, decisi e solidissimi mentre tracciano traiettorie colorate e vorticose nell’aria plumbea del disco, trascindandolo verso picchi di pura goduria. Come il buon vino questi quattro vecchi stregoni migliorano con gli anni, e bisogna dire che è un vero piacere vedere una band, che ha dato tantissimo al genere di metal più vecchio che ci sia, riconfermarsi come leader assoluta in un campo in cui la staticità, la ripetitività e l’ottusa riprosizione di cliché e regole antiche sono sempre in agguato, pronte a fare vittime tra band che erano una volta al top della forma. E’ proprio il caso di dirlo: come my fanatics!