8.5
- Band: ELECTRIC WIZARD
- Durata: 01:05:26
- Disponibile dal: 30/09/2014
- Etichetta:
- Spinefarm
- Distributore: Universal
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Tempo di morire, di farla finita, cessare di vivere questa squallida esistenza. Sì, è ora di dire basta e sotterrare tutto quanto. Ora e per sempre. Gli Electric Wizard hanno deciso di apporre un titolo definitivo al full-length numero otto della loro gloriosa e ineccepibile discografia, e se dobbiamo indicarvi per chi sia tempo di morire, la risposta è lapalissiana: tutti, senza alcuna esclusione, a meno che non siano i tre brutti ceffi e la graziosa signorina che compongono la line-up del Mago Elettrico. La crescita esponenziale e irrefrenabile, modello gremlin, delle formazioni dedite a sonorità stoner/doom stregonesche non ha soverchiato la creatura di Jus Oborn, non ne ha assopito l’orgoglio e la voglia di dimostrare che, a oltre vent’anni dagli esordi, i capiscuola sanno ancora mettere in riga la concorrenza. Non vi stiamo dicendo che “Time To Die” vada a ridefinire i contorni di un genere, a rimodellarlo o portarlo in una nuova era. Affatto. Come dichiarato, un po’ sconclusionatamente, dal leader stesso, gli Electric Wizard intendevano col nuovo album riappropriarsi di un certo lerciume, una malattia inguaribile che, dai fasti di “Come My Fanatics…” e “Dopethrone”, aveva ceduto gradatamente il passo a qualcosa di sempre pregevole, ma più umano, meno funestato da fuzz insostenibili e deliranti abusi delle basse frequenze. Il nuovo disco, a livello di suoni, va a ricercare in parte quell’aurea corrotta delle opere che fecero esplodere la mania per i doomster inglesi, mantenendo allo stesso tempo quel minimo di orecchiabilità e scorrevolezza che erano invece stati i marchi di fabbrica di “Witchcult Today” e “Black Masses”. La sfida a viso aperto ai primi Black Sabbath diventa ancora più sfacciata che negli album più recenti, le note si sfaldano e crollano sotto i colpi di una distorsione malvagia e sudicia, un pericolo per l’equilibrio mentale e un mezzo essenziale per entrare da iniziati nel regno di Lucifero. Se “Funeral Of Your Mind” rischia seriamente di diventare la nuova “Funeralopolis”, grazie a un riff magnetico, insistente, a un wah-wah che rintrona nel timpano e nel cervello fino a obnubilare il senno, e a un refrain sfrontatamente semplice e irresistibile, il resto della tracklist vive di una circolarità perversa che ingloba qualsiasi spunto e lo tiranneggia e schiavizza per renderlo un oceano di elettricità a voltaggio esagerato, in continua espansione e sommersione di qualsivoglia percezione emozionale, che non sia quella del Male supremo. Scorrendo la ricca tracklist ci scontriamo immediatamente con un mausoleo di pezzo che risponde al nome di “Incense For The Damned”. Esso vive di rigonfiamenti, rumori, rimescolamenti in calderoni torbidi e fumanti, con una drogatissima litania di Oborn che assurge a preghiera notturna per raggiungere finalmente lo stramaledetto Aldilà. Il citazionismo verso il proprio passato o quello remotissimo dei Sabs potrebbe essere un errore imperdonabile, se a cimentarsi con certi esercizi di stile non fossero gli Electric Wizard, abilissimi anche nel reiterare se stessi o i propri insegnanti preferiti e a comporre nuovi capisaldi doom senza nemmeno sforzarsi di cambiare granché rispetto al passato. Anzi, riciclandolo. La batteria, di norma poco protagonista nelle fatiche della band, si muove sovente attraverso pattern che danno l’idea di una marcia, un cammino in girotondo attorno a un altare blasfemo, prima di far avverare un destino di dannazione eterna. La title-track ha il rantolo del moribondo e si trascina lasciando una scia maleodorante, non spostandosi di un millimetro per l’intero suo corso da un andamento strascicato senza aperture né alleggerimenti. La prima parte di “Time To Die” è quella più ammorbante e non vi sono tregue al martirio: “I Am Nothing” droneggia assai restando in bilico tra la voglia di stagnazione perenne e riff-mammuth, costituendo di per sé un dolmen inamovibile, crepato negli angoli da un uso degli effetti e delle percussioni che fa provare una tremarella non da poco. I finali inesauribili, sfilacciati in una multidimensionalità caotica che segna probabilmente, nella mente di Oborn, il culmine di una visione allucinogena, sono da manuale dello stoner e ne costituiscono una celebrazione sublime, operando una formidabile mescolanza di quello che si può ottenere dalla pedaliera della propria sei corde. Se volete una colonna sonora per accompagnare qualche horror d’altri tempi, vi diremmo invece di dare un’ascoltata a “Lucifer’s Slaves”, sulle cui malefiche arie fantasmi di ogni epoca danzano con streghe e lupi mannari, durante un’infinita nottata da cui non può esserci risveglio. Torniamo a sottolineare che buona parte delle idee di “Time To Die” sono state masticate tante di quelle volte da perderne il conto, eppure gli Electric Wizard sono così splendidamente padroni dello stoner/doom da non farci cadere nel tedio e risultano magnetici e seducenti come se stessero esordendo quest’anno e di roba simile non avessimo mai sentito una nota in vita nostra. Le tracce a minutaggio dimezzato rispetto alle consuetudini della casa convincono leggermente di meno, più che altro per il confronto impari con le angherie perpetrate sulla lunga distanza, quella che meglio si adatta al modus operandi dei freak del Dorset. Inutile aggiungere altro: se siete fan inossidabili della formazione, anche stavolta avrete di che godere a più riprese. Se siete dei neofiti, ma girate attorno agli Electric Wizard già da un po’ senza avere avuto finora il coraggio di entrare nel loro fosco mondo, questo è il momento di compiere il fatidico primo passo. E unirvi al culto.