7.5
- Band: ELECTROCUTION
- Durata: 00:44:04
- Disponibile dal: 08/02/2019
- Etichetta:
- Aural Music
- Distributore: Audioglobe
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Chi, dopo il successo underground di “Metaphysincarnation”, si aspettava un ritorno in tempi brevi da parte degli Electrocution è stato costretto a ricredersi. Complici gli stravolgimenti in seno alla line-up, i death metaller emiliani hanno impiegato cinque anni per confezionare la loro terza prova sulla lunga distanza, attuando una politica di assestamento interno e attenta pianificazione che, alla luce di questo “Psychonolatry”, ha evidentemente portato i suoi frutti. Un’opera figlia di un intenso lavoro di squadra, chiamata a raccolta dal frontman Mick Montaguti (unico sopravvissuto della formazione che incise lo storico “Inside the Unreal”) per fare muro intorno ai capisaldi del monicker e al contempo indirizzare il sound verso nuove coordinate, nella fattispecie spunti che guardano nemmeno troppo velatamente all’operato di formazioni come Hour of Penance e ultimi Antropofagus.
Come anticipato nel track-by-track di inizio gennaio, degli Electrocution in versione così tesa e parossistica non si erano probabilmente mai sentiti: la badilata assestata dell’ottima opener/titletrack, con il suo riffing effetto mitragliatrice e le sue impressionanti scariche di blast beat, è lo spunto su cui basare una tracklist che fa dell’aggressione un obiettivo da perseguire a tutti i costi, sacrificando parte delle sfumature e dei giochi di stratificazione promossi dal suddetto comeback del 2014. Un incedere più diretto e senza fronzoli che, naturalmente, non diventa mai sinonimo di appiattimento stilistico o banalità, incanalato in composizioni fluidissime che si immagina possano innescare autentiche carneficine dal vivo. Il quoziente tecnico lambisce puntualmente livelli di guardia (basti sentire la performance al basso di Matteo Grazzini, autentica spina dorsale dei brani), e viene traslato in un songwriting che fatica a contenere il proprio dinamismo e la propria freschezza, tra stop’n’go calibrati con precisione millimetrica, puntuali interferenze melodiche e break cadenzati da demolizione totale.
Un assalto in cui vecchia e nuova scuola trovano la cosiddetta quadratura del cerchio, esaltando i rispettivi pregi e regalando a tutti gli appassionati di death metal una bella serie di mini-hit (oltre alla titletrack, citiamo anche “Of Blood and Flesh” e la deragliante “Divine Retribution”). Ampiamente promossi, ancora una volta.