7.5
- Band: EMBRYO
- Durata: 00:33:10
- Disponibile dal: 17/03/2023
- Etichetta:
- Rockshots
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Torniamo ad occuparci dei cremonesi Embryo dopo averne lodato le imprese di inizio e metà carriera e dopo aver colpevolmente trascurato il precedente, e penultimo, “A Step Beyond Divinity”, uscito ormai sei anni fa e presentante una compagine in costante crescita e notevole maturazione, impegnata oltretutto in un ambizioso concept-album dedicato a Leonardo da Vinci.
A distanza di più di un lustro e con una pandemia di mezzo, la band guidata dal chitarrista Eugenio Sambasile torna sul palcoscenico italiano e internazionale con un lavoro che tenta di bissare i buoni esiti dell’ultima pubblicazione: non per nulla viene riproposta la formula del disco concettuale incentrato su una figura di spicco dell’enorme parterre storico-artistico a disposizione dell’infinito stadio Italia. Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio, è difatti il protagonista di “A Vivid Shade On Misery”, quinto full-length album degli Embryo.
Forte di una line-up di prim’ordine e dall’impatto esagerato, i techno-melo-deathster nostrani si prodigano in una serratissima mezz’ora e poco più di metallo estremo, iper-prodotto dalla certezza Simone Mularoni, con una tracklist essenziale ma comunque completa, promuovente un suono a tratti bombastico e memore delle migliori lezioni impartite da alcuni gruppi del sottogenere negli anni Novanta e Duemila: la spina dorsale dello stile Embryo è sempre quella, cementatasi all’epoca del secondo “No God Slave” e via via migliorata con accorgimenti e dettagli sempre più ricchi e perfezionistici, forse oggigiorno virati ancor più verso una marcata ricerca melodica di tono europeo-scandinavo, che mette inevitabilmente in secondo piano le comunque presenti influenze di stampo americano; la potente miscela proposta, unendo qua e là terremoti cyber-thrash (“The Seed Of Lividity”) e rimandi classic metal (sentite un po’ la partenza di “MMDC”), viene poi scompaginata al solito dalle tastiere di Simone Solla, spazianti su ampi registri in modo da rendere riconoscibili da subito i brani. Certo è che i fan di Soilwork, Fear Factory, In Flames e Dark Tranquillity non faticheranno a trovare qui pane e riff per i loro denti.
Non dimentichiamoci di citare lo spaventoso – in senso buono! – growl di Roberto Pasolini, rientrato presto in formazione dopo una breve pausa, pieno e maestoso nel declamare linee vocali un tantino ripetitive ma che non necessitano neanche di chissà quali voli di fantasia per risultare inattacabili, a dire il vero. Anche perchè, a far volare la fantasia, ci pensano le succitate tastiere e una manciata di splendidi assoli di chitarra, senza considerare il ‘docilissimo’ tappeto ritmico messo a disposizione dai nuovi entrati, per nulla sconosciuti, Gabriel Pignata (ex Destrage, ex Node) al basso e soprattutto George Kollias (Nile, ex Nightfall) alla batteria. Il tentacolare drummer greco è sì un valore aggiunto per gli Embryo, non solo chiaramente in sede promozionale, ma bisogna ammettere che il suo apporto alla causa non è fine a se stesso, bensì risulta pienamente organico e funzionale a quanto suonano i cremonesi. Del resto ricordiamo che la band anche in passato, cronicamente alla ricerca di un batterista stabile, si concesse un pezzo grosso quale Francesco Paoli (Fleshgod Apocalypse, ex Hour Of Penance) dietro le pelli.
La scaletta di “A Vivid Shade On Misery”, tenuto conto della sua brevità e conseguente intensità, non ha praticamente cali di sorta, seppur non siano presenti neanche enormi picchi emozionali. La professionalità raggiunta dai Nostri in sede di composizione è ferrea, gli Embryo denotano idee chiarissime e sanno come metterle tra le piste di uno studio di registrazione. Le tracce difettano probabilmente di quel tono atmosferico e vagamente cinematico che solitamente ci si aspetta da un concept album: intendiamo dire semplicemente che risulta difficile immaginarsi Caravaggio all’opera mentre si ascoltano randellate di riff triggerati e doppia cassa a manetta. Però si tratta di un appunto minimale, in quanto ciò che conta maggiormente, nel computo finale di un giudizio, è la capacità di un disco di intrattenere e di toccare le corde giuste affinché venga voglia di andare a riascoltarselo, e “A Vivid Shade On Misery”, sotto questo punto di vista, svolge il suo compito egregiamente.
Tra i brani più rimarchevoli, comunque, ci preme segnalare il devastante trittico iniziale composto dall’opener “Pride”, nella quale convogliano in pochi minuti tutte le sfumature più catchy della band, giro ipnotico di tastiere, voce possente, riffing tagliente ed epico, una forma-canzone sempre ben definita; dal primo singolo “Darkest Lights”, caratterizzato da una melodia penetrante di chitarra presa di peso dai Dark Tranquillity, melodia che accompagna un chorus urlato presto memorizzabile, per una traccia davvero avvincente; e dal secondo singolo, “Highest Fame” (peraltro accompagnato da un video seducentemente disturbante), nel quale le keyboards fanno il bello ed il cattivo tempo, soprattutto quando si zittisce tutto e restano loro ad accompagnare a centro canzone un solo memorabile di Eugenio, un vero momento-clou e rivelatore di quanto siano bravi ed eclettici gli Embryo. Infine, ecco il nostro pezzo preferito, la più complicata e futuristica “Medusa”, dove il cangiare di ritmiche e velocità dei riff spiazza affascinando superbamente.
Piacevolissimo rientro, dunque, per i portacolori italiani, certamente fra le formazioni che potrebbero ambire a posizioni più elevate del virtuale ranking italiano di gradimento, ma che per diverse ragioni non hanno ancora fatto breccia del tutto nei cuori degli appassionati. Speriamo possano farlo con “A Vivid Shade On Misery”, perchè se lo meritano.