7.5
- Band: EMMURE
- Durata: 00.28.24
- Disponibile dal: 03/03/2017
- Etichetta:
- Sharptone Records
- Distributore: Warner Bros
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Settembre 2015: il “Russian Hotel Aftermath” genera un terremoto negli Emmure, che annunceranno un paio di mesi dopo che Jesse Ketive, Mike Mulholland, Mike Davis e Adam Pierce hanno fatto ammutinamento. Nello stesso annuncio Palmeri tranquillizza i seguaci del culto dichiarando che esiste già una nuova incarnazione della band duramente al lavoro sul settimo capitolo della discografia del gruppo. Facile leggere gli avvenimenti come l’ennesima conferma delle voci che dipingono Frankie come il più monumentale stronzo della scena, ma il leader degli Emmure risponde tramite musica: ‘Do you think I really give a fuck? Because I don’t’ tuona nella magistrale “Shinjiku Masterlord”. Basta pochissimo per realizzare che la visione sulla quale è sempre stata costruita la band è unicamente sua, e nella versione 3.0 del gruppo è ancora assolutamente vivida, focalizzata, vibrante. Sin dagli esordi Frankie ha composto con il chitarrista di turno, che all’inizio era Ben Lionetti, poi per molto tempo è stato Jesse Ketive e ora, quando tutto sembrava perduto, ecco l’asso giocato con freddezza glaciale: quando è stato fatto il nome di Joshua Travis in molti – ovvero coloro che conoscevano il talentuoso chitarrista che militava nei The Tony Danza Tapdance Extravaganza – sono letteralmente saltati sulla sedia, coloro che non lo conoscevano probabilmente dalla sedia ci cadranno. Il mago della 7/8 corde ha dimostrato di essere un chitarrista mostruoso ed innovativo in ambito extreme metal e mathcore e già nei Glass Cloud ha espresso il desiderio di esplorare territori groove. Eccolo oggi diventare il braccio destro del leader e plasmare “Look At Yourself” con reminescenze djent/Meshuggah, il suono potente e conciso dei Danza e un sacco di dissonanze. Al contempo, con nostro sommo piacere, lo vediamo pescare a piene mani dal nu-metal, esplicitando una delle influenze più evidenti di Palmeri, facendole esplodere in maniera tumultuosa e sottolineando lo swag che ha reso famoso il frontman. Il tutto con grande gusto per groove e dinamiche, con inattesa originalità, con grandi tocchi di classe di effettistica e rumoristica e in assoluta fluidità. L’uomo al microfono non può che essere totalmente galvanizzato, mettendo in scena il suo personale crossover tra Fred Durst e quello che sarebbe Thanos se cantasse deathcore: urla acute e growl viscerali sono sempre più esasperati, il flow è naturalissimo e anche i brevi e sperimentali intercorsi melodici sono del tutto convincenti, mentre l’attitudine è rimasta quella di sempre, fredda, spietata ed implacabile. Per gli amanti del nu-metal, per chi li considerava cacofonica ‘breakdown music’ e per i nostalgici di “Speaker Of The Dead” questo “Look At Yourself” è manna dal cielo, per chi li ha sempre snobbati è l’occasione di scoprirli, per gli ascoltatori casuali è come suona il nu-metal nel 2017 senza sterili imitazioni revivaliste… quando cazzo si possono scrivere cose del genere parlando del settimo album di un gruppo?