7.5
- Band: EMMURE
- Durata: 00:28:55
- Disponibile dal: 13/05/2008
- Etichetta:
- Victory Records
- Distributore: Andromeda
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“Goodbye to the Gallows”, precedente album degli Emmure, aveva già mostrato delle potenzialità ma si perdeva in facezie screamo sin troppo modaiole che facevano storcere il naso. E’ passato poi solo un anno dalla pubblicazione dell’ultimo lavoro, tanto da poter gettare preconcetti legittimi sull’opportunità di un ritorno così affrettato. “The Respect Issue” invece, quasi a voler succedere a quei Bury Your Dead scivolati su una buccia di banana, si presenta come candidato ufficiale alla cintura di campioni del pit: e non è facile primeggiare in assoluta brutalità se si è dotati del suffisso “core”, soprattutto col bagaglio tecnico ridotto della formazione e la concorrenza agguerrita dello stesso roster di casa Victory, ma alzando il volume il combo del Connecticut riesce a fare le proverbiali “poche cose fatte bene” sfoderando una decina di tracce dal peso specifico elevatissimo. Scordatevi le vocals ruffiane: questa è la fiera della violenza, del groove, dei riff ultraribassati, dei rallentamenti esagerati (al limite dello sludge), il paradiso per i lottatori del mosh. I primi quattro brani sono da tapout, e raggiungono la vetta con la moderna “False Love In Real Life”, caratterizzata dal mix irresistibile sulla voce nel primo stacco e dal suo break criminale. “Chicago’s Finest” fa respirare, con una struttura e un riffing scippati ai Killswitch Engage nella canzone più allineata all’airplay, in coppia con “Dry Ice” negli unici momenti di tregua della raccolta. Il resto è un marasma di sudata violenza non-stop, dove spiccano una produzione di batteria ‘Vinnie-Paul-style’, gang vocals occasionali, riff a corde libere e growl profondi e gutturali. E se le sfumature fanno la differenza, il ‘tamarrometro’ comincia a sbacchettare sul limite destro notando un’attitudine quasi nu-metal in effettacci inauditi e lamenti deliranti, come dimostra il cuore di “Rough Justice”, la chitarra scratchata in “I Only Mean Half Of What I Don’t Say” o la pazzia Korniana di “Tales From The Burg”. Vogliamo metterci pure le candeline oltre alla ciliegina sulla torta? In molti riconosceranno la supersar del wrestling Kurt Angle a prestare volto e fisico al booklet! Parecchi lettori avranno già la nausea al termine di queste righe, ma chi scrive è sicuro che gli amanti delle spacconate da duro e della violenza gratuita ameranno quest’album che unisce le poche pretese (in 29 minuti come ci si fa ad annoiare?) con del sano divertimento a volume dannoso. Breakdowncore?