8.5
- Band: EMPYRIUM
- Durata: 00:48:56
- Disponibile dal:
- Etichetta:
- Prophecy Productions
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Se dovessimo scegliere un album che descriva in musica il suono di una strada tra i boschi nel crepuscolo di novembre, l’opera prima degli Empyrium sarebbe un esempio efficace.
“A Wintersunset…” racchiude infatti in sè il fascino adombrato per paesaggi carichi di malinconica riflessività, mescolato con quella bellezza ruvida delle gemme grezze appena estratte, colpite per la prima volta dalla luce.
Uscito nel 1996, questo lavoro sancisce simbolicamente la nascita della tedesca Prophecy Productions, storica etichetta che ha nelle proprie corde proprio quella ricerca per sonorità plumbee e contemplazione naturale; le stesse in grado di spingere il duo Markus Stock/Andreas Bach nei R+A Studio di Münnerstadt, in Baviera, per registrare cinquanta minuti di musica struggente, a metà tra certo folk boschivo, spleen, lirismo romantico e unghiate improvvise in odore di black.
Queste caratteristiche costituiscono un humus fertile per moltissime formazioni che in quello stesso periodo stavano lavorando per costruire – ognuna con la loro personalità – strade nuove, diverse e capaci di ramificazioni infinite: se forse “Kveldssanger” degli Ulver costituisce uno dei paragoni più immediati per ricerca tra tradizioni musicali e oscurità silvestre, si possono citare i lavori coevi di Opeth (“Morningrise”), Anathema (“Eternity”) e My Dying Bride (“Like Gods of the Sun”) per evidenziare un percorso simile in termine di indagine interiore e costruzione di un suono che, seppur estremo, lavora nel tessere ad esso un gusto melodico vario, mentre i conterranei Lunar Aurora declinavano quegli stessi boschi e quella stessa sensibilità con il filtro del black metal puro, esordendo con “Weltengänger”.
Ad un livello forse meno immediato in termini di paragone, possiamo comunque vedere che, sempre rimanendo su queste coordinate, nel 1996 sono usciti l’esordio omonimo dei Borknagar (in cui comunque i rimandi ad ambienti naturali incontaminati giocano un ruolo importante), “Thriarchy Of The Lost Lovers” dei Rotting Christ, dove la band greca comincia a plasmare un unicum tra black metal ellenico e gusto melodico/sinfonico, i Moonspell trovavano definitiva consacrazione nel pantheon gotico con “Irreligious” e i Type 0 Negative davano alle stampe il bellissimo “October Rust”, che in quanto a malinconica decadenza ha pochi eguali.
Questo rapido ed eterogeneo sguardo d’insieme vuole evidenziare come l’esordio degli Empyrium non scardini con forza dirompente le sorti del metal tutto: al contrario, dipinge – definendolo – con colori autunnali un panorama dove questa musica incontra altri scenari, non per forza estremi, e si trasforma in un paesaggio nuovo e inedito non per contrasto ma per assimilazione. Qui il cordoglio e l’introspezione del funeral doom incontrano esperienze progressive, portando tanto alla luce i semi del neofolk silvano che verrà, quanto quelli più scuri, vicini al black più aspro e graffiante (da cui poi, per esempio, prenderanno le mosse gruppi come gli Agalloch).
A differenza degli altri lavori citati, infatti, “A Wintersunset…” porta con sè soprattutto l’ode alla bellezza della natura, e di essa ne costituisce un cantico carico di amore e suggestioni (così come dichiarato anche dai musicisti stessi all’epoca) con un romanticismo d’antan, se vogliamo, tutto tedesco: ne nasce una celebrazione commossa, dai tratti quasi riverenti – vi sfidiamo ad ascoltare la doppietta “The Yearning”/”Autumn Grey Views” rimanendo con gli occhi asciutti.
Tale celebrazione parte dal delicato refrain di pianoforte di “Moonromanticism” (programmatica già dal titolo) per poi svilupparsi in una coltre brumosa di flauti, tamburellii e sintetizzatori, vicini, come potere evocativo e contrasto con le vocalità/sonorità più harsh, ad alcune soluzioni esplorate dai Summoning nel corso della loro carriera.
Ascoltare questo disco oggi è un’esperienza particolare: se da un lato la produzione suona ormai datata rispetto agli standard attuali, è però al tempo stesso proprio anche grazie ad essa che si possono apprezzare gli elementi peculiari di un lavoro simile: l’equilibrio tra momenti in cui l’epicità splende negli assoli di chitarra, ammantata di sfuggente tristezza doom, con le tastiere/synth a costellarne il passo, come nella lunga, bellissima suite “Ordain’d to Thee” (senza cui probabilmente non avremmo i Caladan Brood come li conosciamo oggi, per esempio), e quelli in cui la musica si rarefà, raccogliendosi in un’atmosfera sospesa, dai contorni quasi onirici, come succede nella finale “A Gentle Grieving Farewell Kiss”.
La voce baritonale di Markus, che tanto caratterizzerà il DNA degli Empyrium col tempo, è già solenne, intensa tanto nei sussurri che nelle parti quasi recitate o in quelle in screaming, ma sempre in equilibrio con il resto dell’impalcatura sonora costruita brano dopo brano, insieme ad un lavoro di chitarre oculato, una sezione ritmica sul pezzo quando serve e in grado di sospendere le cavalcate quando la canzone si dirige su sentieri più atmosferici.
I due musicisti hanno poi lavorato, album dopo album, per rifinire o approfondire il percorso qui cominciato (si ascolti “Weiland” in proposito), con una classe e un’ispirazione in grado di regalare al mondo, anche dopo tanti anni, perle come “Turn Of The Tides” (più volto a scandagliare le maree mutevoli del mondo con uno sguardo raccolto) o l’ultimo, eccezionale “Über den Sternen” (del 2021).
“A Wintersunset…” resta un disco meraviglioso per forza evocativa e maturità, per le sue imperfezioni da gemma grezza e l’emotività che i due musicisti (con il contributo di Nadine Mölter ai flauti, ospite fissa anche nel futuro della band) sono stati in grado di restituire con ciascuno strumento musicale: una dichiarazione d’amore per la natura scritta col linguaggio dell’autunno/inverno tedesco che commuove ed emoziona a prescindere al passaggio degli anni.
