7.5
- Band: ENFORCER
- Durata: 00:46:28
- Disponibile dal: 26/04/2019
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Si può dire tutto degli Enforcer, non che non conoscano l’heavy metal. Citazioni evidenti, ruffianerie, tamarrismo, sono accuse che tutto sommato ci possono stare, ma crediamo che sia nella stessa natura di una band di questo tipo attingere smaccatamente al bacino culturale di riferimento, e prenderne in prestito di peso tutto quanto gli serva. C’è chi lo fa meglio, chi lo fa peggio, i quattro svedesi sono tra quelli che hanno competenza sufficiente per non risultare delle squallide macchiette. E con “Zenith” compiono da questo punto di vista un lavoro alquanto meritorio, vale a dire un recupero diremmo fanciullesco e disinibito di certo classic metal parecchio compromesso con l’hair metal. Intendiamo compagini dalle poche fortune come Leatherwolf, Lizzy Borden nel terzo e quarto album, primi Hittman, oppure dei Racer X spogliati dello shredding, senza dimenticarci i primi e più ruvidi Motley Crue. A ciò si aggiunga un sentimento e una grazia in alcuni frangenti che ricorda persino i Savatage, lo spirito anthemico dei Manowar, qualche accenno di occultismo alla King Diamond e la solita benemerita fascinazione per NWOBHM e lo speed metal selvaggio, capisaldi dell’Enforcer-pensiero.
La partenza è però appannaggio di melodie da party, coretti disseminati in ogni dove, ammiccamenti in bella evidenza e una linearità quasi pop: “Die For The Devil” è un singolone architettato apposta per far cantare al primo ascolto e non fa nulla per darsi un tono, né introduce qualche elemento più ruvido e metallico. Un’impronta chiara che non viene meno nella seguente “Zenith Of The Black Sun”, mentre “Searching For You” è speed metal allo stato puro, solo levigato dalla produzione educata scelta per “Zenith”. In “Regrets” gli Enforcer provano a fare gli adulti e si destreggiano con tappeti pianistici e strofe sofferte, riecheggiando appunto i romanticismi malinconici dei Savatage. Non si raggiungono quelle vette di intensità, ma l’esperimento può dirsi piuttosto riuscito, anche se una sfrondata al coro conclusivo non avrebbe guastato. “The End Of The Universe” rimette in moto la fanfara dei chorus anthemici per i quali la band ha una forte predilezione, il merito dei quattro è di rimpolpare i refrain con linee chitarristiche avvincenti e un indomabile spirito metallico. Singolarmente questi musicisti non sono baciati da talento divino, ne sono consapevoli e non vanno a strafare, dando il meglio se considerati nel loro insieme.
Se “Sail On” è l’episodio più incerto del disco, per via di combinazioni di tastiere fin troppo giocose e un’atmosfera leggera abbastanza insipida, “One Thousand Years Of Darkness” conquista con i suoi stacchi di tastiera vigorosi in annuncio del refrain, un’astuzia degna dei migliori produttori di hit degli anni d’oro dell’hair metal. Alle accelerazioni esasperate di “Thunder And Hell”, altro convincente tuffo nello speed metal, segue l’espandersi dell’ombra del Re Diamante sopra “Forever We Worship The Dark”: l’originale ispiratore rimane di un’altra categoria, l’omaggio voluto o solo involontario degli Enforcer non è affatto una copia carbone di scarso valore, perché la passionalità del gruppo colma i vuoti di talento e consente di sfornare un brano di buona levatura. Piace infine il cadenzato pomposo, muscolare, in marcia verso la gloria di “Ode To Death”, che dall’apertura arpeggiata al crescendo epico dichiara senza remore il suo amore per Eric Adams e compagni. “Zenith” non ha le stimmate del classico immortale, né la pretesa di porsi come caposaldo del metal classico moderno, tuttavia mette in linea un lotto di canzoni assai gradevoli e convincenti alla prova dei ripetuti ascolti: bel colpo per gli Enforcer!