6.5
- Band: ENSIFERUM
- Durata: 00:53:30
- Disponibile dal: 15/09/2017
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Un melodico death metal dalle fortissime tinte folkeggianti, condito a sua volta da striature a dir poco power. E’ questa ormai l’etichetta stampigliata accanto al logo degli Ensiferum che, con il qui presente “Two Paths”, raggiungono la loro fatica numero sette. Sono ormai lontani – e crediamo definitivamente abbandonati – gli anni in cui la band finlandese si presentava come una delle realtà più interessanti all’interno del panorama del viking-pagan metal. Era infatti il 2012 quando, con l’ottimo “Unsung Heroes”, nonostante i diversi cambi di line-up (l’ultimo in ordine di tempo ha visto l’entrata in formazione della tastierista Netta Skog – ex Turisas – al posto della defezionaria Emmi Silvennoinen), il gruppo capitanato da Markus Toivonen sembrava avesse trovato la tanto attesa quadratura del cerchio. Quadratura che, forse, è rimasta ancora sulla carta: le prime avvisaglie di un nuovo cambio di rotta, questa volta abbastanza radicale, si erano già notate in “One Man Army” del 2015, quando cori più catchy, brani maggiormente clean e una generale ‘positività’ musicale avevano scalzato la foga vichinga e la sostanziale ‘crudezza’ pagana. Con “Two Paths” questa caratteristica ha preso ancor più piede ed è un fatto strano se si pensa che, a conti fatti, gli episodi più interessanti dell’album rimangono quelli tracciati dalle vecchie linee melodiche. Vedremo quindi, se la nuova strada intrapresa dal gruppo scandinavo porterà a lidi più floridi o, in caso contrario, ad una brusca frenata con un conseguente ritorno alle origini. Ma veniamo a noi. E’ con il più classico degli intro, pomposo e regale, che si aprono le porte per questa nuova avventura targata Ensiferum: un viaggio (pur non trattandosi di un vero e proprio concept album) tra il bene e il male, basato esclusivamente sulle scelte che ognuno di noi compie durante la propria vita. Ed il primo pezzo che incontriamo lungo questo tortuoso cammino è un’autentica scossa in grado di smuovere anche l’anima più sedentaria. Un riff a dir poco tambureggiante lascia spazio ad un coro quasi da Far West prima di lanciarci in una strofa in cui Toivonen e soci sembrano ricalcare la rabbia dei primissimi Children Of Bodom (quelli di “Something Wild” per intenderci); il tutto, in attesa del canonico anthem dedicato questa volta a coloro che combattono per il metal. Definiti, proprio per la loro attitudine alla fratellanza metallica, i ‘Manowar del Nord’, i cinque finlandesi ci confermano quanto appena scritto nella successiva “Way Of Warrior” in cui, ad accompagnare nuovi richiami provenienti dai connazionali di Bodom, arriva un refrain che strizza più di un occhio a quella “Blood Of The Kings” partorita a suo tempo da Joey De Maio e compagni. Grinta e fervore che con la title track trovano una sorta di tregua, anche dal punto di vista vocale: proprio a voler sottolineare la duplicità di questo percorso comportamentale, il clean di Toivonen (un po’ deboluccio a dir la verità) si alterna all’ugola più roca di Petri Lindroos creando così una sufficiente varietà di emozioni oltre che dare al brano un tasso di solidità maggiore rispetto ad un inizio leggermente in sordina. Con “King Of Storms” si ritorna a pigiare sull’acceleratore: riff quasi power accompagnano un cantato che spinge nuovamente sul tasto della rabbiosità, anche se in maniera meno convincente rispetto ai brani che aprono l’album. Altro giro, altro ‘stile’, quasi che i nostri cerchino di richiamare a sé i fan di più generi: nella più cadenzata “Feast With Valkyries”, cori abbastanza semplici marciano insieme alla voce di Netta Skog senza comunque alzare l’asticella della qualità globale espressa dai finlandesi. Con “Don’t You Say”, brano ‘pulito’ e dal refrain poco sorretto, l’album prende una piega più cadenzata, pesante e più introspettiva, toccando, come nel caso di “I Will Never Kneel”, quelle corde dal sapore viking di qualche anno fa. Così fino a “God Is Dead”, forse il pezzo che meglio rappresenta gli Ensiferum di oggi: la rabbia primordiale va a braccetto con l’epicità del power e l’allegria del folk, arricchendo il tutto con cori orecchiabili e di sicuro impatto sull’ascoltatore. Troppi generi mischiati, manifestando quindi una mancanza di chiarezza d’intenti? Oppure gli Ensiferum, accontentando un po’ tutti, hanno trovato la famosa quadratura del cerchio accennata qualche riga sopra? Vedremo. Nel frattempo sono le note di “Unettomaan Aikaan” a chiudere un album che sicuramente si fa ascoltare volentieri ma che lascia trasparire ancora qualche dubbio sulla vera identità della band scandinava.