7.0
- Band: ENSLAVED
- Durata: 00:18:12
- Disponibile dal: 01/10/2021
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Diciotto minuti di musica sono veramente troppo pochi per poter considerare “Caravans To The Outer Worlds” come un indicatore della strada che gli Enslaved percorreranno in futuro, ma sono sicuramente sufficienti per poter affermare che la band è in un meraviglioso stato di forma: sono solamente quattro i brani contenuti in questa nuova uscita (e due di essi sono degli intermezzi), ma l’ispirazione sembra quella dell’ultimo, ottimo disco. E proprio dalle tappe precedenti si parte per intraprendere il nuovo viaggio, con un preciso legame: mentre “E” era una visita ad Asgard, la casa degli dei, e “Utgard” un passaggio nel luogo dove vivono i giganti e regna il caos, con le tracce di questo EP i norvegesi ci conducono oltre, laddove la consapevolezza delle verità scoperte in passato ci guida verso spazi inesplorati. Questa forte connotazione tematica, spiegata dalla band con il consueto entusiasmo e con abbondanza di particolari sui social ed in ogni intervista, caratterizza fortemente le atmosfere in cui ciascuna delle canzoni è immersa, tanto che l’intera opera può essere vista come un unico soggetto. La partenza è affidata alla titletrack e subito ci si lascia alle spalle un mondo desolato per spiccare il volo: una tempesta spaziale e qualche nota di basso introducono un pezzo che è un tripudio di riff, assoli e tastiere, con la voce che passa continuamente da urlata a pulita. L’altro pezzo dell’EP, “Ruun II: The Epitaph” ha, invece, un mood completamente differente, basato su chitarra acustica, ancora una volta tastiere e un cantato evocativo, e rappresenta il ritorno a qualcosa di arcaico ma strettamente legato alla nuova esperienza. Per niente banali anche i due strumentali, probabilmente il materiale più progressive e psichedelico che la band abbia mai composto.
L’impressione è che la sbornia per il prog non sia che all’inizio, che anzi ci si sposti verso territori ancor più classici, e che si senta sempre più marcata l’importanza e l’estrazione dell’ultimo arrivato, il tastierista Håkon Vinje (anche se ormai è nella band dal 2017), non solo in fase di esecuzione ma anche e soprattutto a livello di composizione. I risultati, pur in un settore che non è quello di nascita per la band di Bergen, sono ottimi, grazie ad una classe cristallina. Come accennato ad inizio recensione, la durata di questo disco è troppo limitata per poter intuire quali saranno gli sviluppi futuri ma sicuramente ci troviamo al cospetto di un ulteriore ‘avanzamento’, sia come luogo, in senso astratto, sia come suoni in concreto: dopo trent’anni, la voglia di sperimentare non sembra essersi ancora esaurita.