9.0
- Band: ENSLAVED
- Durata: 00:50:10
- Disponibile dal: 04/08/1994
- Etichetta:
- Osmose Productions
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Per analizzare un disco come “Frost”, alla luce di ciò che sono ora gli Enslaved, si potrebbe partire da una semplice domanda: “Si poteva già intuire, allora, che la band di Bergen avesse qualcosa di diverso dalle altre formazioni black metal coeve, qualche caratteristica peculiare che le avrebbe permesso di compiere un percorso non propriamente lineare nei tre decenni successivi?”. La risposta è sicuramente sì, ma questo album sembra tanto radicato nel periodo storico in cui è nato quanto indicativo nell’orientarci verso ciò che succederà in futuro.
Ma partiamo dal principio. Nel 1991, quando la prima formazione degli Enslaved prende vita, i due protagonisti principali, Ivar Bjørnson e Grutle Kjellson – tuttora ossatura della formazione di Bergen – hanno rispettivamente tredici e diciassette anni, e insieme a Trym Torson (che rimarrà nella band fino al 1995, per poi passare agli Emperor) pubblicano nel giro di poco tempo diversi demo ed EP, oltre ad uno split proprio con la band di Ihsahn, arrivando all’album di debutto “Vikingligr Veldi” (1994) grazie al supporto della Deathlike Silence Productions di Euronymous. Passano pochi mesi ed il trio torna in studio per comporre “Frost”, quello che molti giudicano come l’apice della loro lunga carriera. Molti dei dischi che saranno ricordati come capisaldi del black metal erano già sul mercato o videro la luce in quell’anno, ma “Frost” aveva qualcosa di differente: la furia del metallo nero sembrava, per la prima volta, coniugarsi in modo compiuto con lo spirito vichingo dei Bathory; questi ultimi possono sicuramente essere considerati i padri di un certo tipo di sonorità, gli inventori del cosiddetto viking metal, ma il grande merito degli Enslaved, soprattutto ad inizio carriera, è quello di esportare queste atmosfere in un ambito musicale ancor più estremo, un nuovo livello che sarà appunto ribattezzato viking black metal. E non è tutto: in questi pezzi sono presenti anche elementi completamente nuovi per quei tempi, e che negli anni prenderanno piede nel suono della band; certo, nel 1994 è impossibile prevedere la futura passione della formazione norvegese per il prog, ma qualche piccolo indizio in quel senso era presente. Eppure questi sono dettagli che acquisiscono importanza solo alla luce di quanto successo in seguito, non necessari a descrivere ciò che questo disco è nella sua essenza: “Frost”, infatti, è una fiera e roboante invocazione alle divinità vichinghe, una botta black metal di prim’ordine, un inno pagano che non utilizza scorciatoie. E questo urlo di guerra è già scritto nell’artwork: il gelido paesaggio ricoperto di ghiaccio, il retrocopertina con il trio bardato per andare in battaglia, la scritta ‘Viking Metal’ marchiata a fuoco, tutti elementi che rappresenteranno per sempre il segno distintivo di un’opera che ha segnato un’epoca. Ma, se da un certo punto di vista possiamo considerare gli Enslaved e questo disco come gli iniziatori di un nuovo filone, è anche vero che “Frost” rispecchia in pieno i canoni che caratterizzano la musica della cosiddetta seconda ondata: primitiva, gelida, cruda e senza freni. A condurci in questo mondo innevato sono le soavi tastiere della titletrack, che sembra veramente trasportare l’ascoltatore nel magnifico fiordo immortalato nella copertina: nel libretto, il lavoro di Ivar, oltre alla chitarra, viene genericamente descritto come ‘electronics’, quasi a voler enfatizzare la peculiarità della strada intrapresa. Il risveglio, però, è brusco ed ha il nome di “Loke”, dio dell’astuzia e degli inganni nella mitologia norrena, protagonista di un pezzo violento, con un un riffing potente, pieno di quella doppia cassa di cui Trym è un maestro, mentre Grutle impazza con il suo screaming primitivo; il pezzo si conclude con una risata maligna e fin da subito setta quello che sarà lo standard di gran parte dei brani. “Fenris”, ispirata al gigantesco lupo che proprio da Loki è nato, è un pezzo più complicato, in cui i tipici suoni black si alternano con cavalcate chitarristiche dal sapore epico, synth e momenti acustici. La lunga “Svarte Vidder” è un altro assalto frontale contraddistinto da trame della sei corde che stordiscono e che solo nel finale diventa più atmosferico, grazie all’intervento delle tastiere. “Yggdrasil”, l’albero cosmico che ritornerà in altri momenti della carriera dei nostri, è una sorta di mantra ipnotico dal sapore folk, che inizia e finisce in acustico, mentre la parte centrale è elettrica; la voce pulita ed evocativa e l’intervento della mouth harp, in pratica la versione nordica dello scacciapensieri, danno vita ad un momento fortemente suggestivo. La seconda parte di “Frost” si apre con “Jotunblod”, altro brano decisamente votato alla classica fiamma nera, con una batteria a dir poco terremotante a dettare i ritmi. Con la successiva “Gylfaginning” siamo più o meno sulle stesse coordinate, anche se in alcuni frangenti i tempi rallentano leggermente e si nota anche una voce pulita. “Wotan”, nome germanico di Odino, è l’ennesimo esempio di come i norvegesi sappiano coniugare le atmosfere epiche con i suoni più efferati e ci conduce verso il termine del viaggio racchiudendo in quattro minuti tutti i punti fermi del black dell’epoca. L’opera si chiude con la clamorosa “Isøders Dronning”, il pezzo che più degli altri ci dà una chiara idea di quello che sarebbe successo in futuro, con il suo andamento altalenante tra attimi struggenti e feroci ripartenze, gustoso antipasto di quella passione per il prog che si sarebbe concretizzata di lì a qualche anno.
Un disco che non solo farà la storia del black, ma che rappresenterà anche il trampolino di lancio per la splendida collaborazione tra Grutle e Ivar, ancora oggi una delle coppie più creative e geniali dell’universo metal, capace di cambiare pelle senza mai tradire le proprie radici e, soprattutto, senza mollare nemmeno un millimetro dal punto di vista della qualità.