9.0
- Band: ENSLAVED
- Durata: 01:07:07
- Disponibile dal: 28/09/2012
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Dove eravamo rimasti? Sì, perché ad ogni pubblicazione degli Enslaved niente è come è in precedenza. Quando album dopo album si pensa che Grutle e Bjorson – le menti di una band che oltre vent’anni fa suonava del consono viking metal, e che negli ultimi dieci ha intrapreso un sentiero musicale che non ha più demarcazioni – abbiano osato e sperimentato tutto, ecco che arriva la smentita, questa volta sotto le spoglie di “RIITIIR”. Si tratta dell’ennesimo gioiello di casa, l’ennesimo album di metallo che non ti aspetti, che non segue schemi, che travalica i confini e che, ascolto dopo ascolto, ti tira a sé, ti ammanta nella corposità di metal, arte psichedelica e tanto progressive. Il viaggio – un’ora e dieci minuti tutta da scoprire e assaporare ascolto dopo ascolto – inizia con “Thoughts Like Hammers”, pezzo fra i più lunghi, che dà immediatamente l’idea di come il genio del gruppo sia riuscito a far suonare all’unisono influenze e partiture molto diverse fra loro. Segue la lunga malinconia di “Death In The Eyes Of Dawn”, caratterizzata dal lamento rabbioso di Grutle, ma capace di produrre anche vigore, seppur in maniera diversa rispetto agli esordi. Idem su “Veilburner”, progressivo e ritmato incedere verso l’etereo, con la voce di Larsen protagonista. Proprio quest’ultimo riveste un ruolo dominante nell’economia degli Enslaved moderni. Non solo per le melodie mai banali alla tastiera, ma soprattutto per i puliti arrangiamenti vocali dosati lungo le composizioni. Il miglior pezzo del disco è tuttavia “Roots Of The Mountain”: il vigore iniziale è preludio a un altro brano dalla lunghezza monstre (oltre 9 minuti) e dallo schema molto variegato, dove si alternano momenti ruvidi, permeati da Grutle alla voce e dalle chitarre graffianti, ad altri dove le sei corde si odono in lontananza (accade spesso sulle parti melodiche di “RIITIIR”) lasciando alla tastiera e alla voce di Larsen il compito di rubare la scena. Questa continua contrapposizione che spesso diventa miscela, rende imprevedibile ogni canzone dell’album. Approdati su Nuclear Blast, maestri oramai nella produzione dei loro lavori, i norvegesi non sono assolutamente in imbarazzo nel lungo minutaggio, una caratteristica essenziale visto che non riescono a musicare secondo gli schemi precostituiti, specie poi nel piccolo periodo. Il sentiero verso l’ariosità musicale che perseguono o verso la rudezza di immaginari paesaggi nordici disegnati nella nostra mente tramite il suono aspro della voce di Grutle – sempre più l’unico trait d’union con gli esordi – ha bisogno di tempo per essere rappresentato. Ci si arriva man mano lungo ogni brano, seguendo diversi e mai ripetuti passaggi. Dodici album, 21 anni di attività per una carriera che li ha visti sempre progredire seguendo le loro personali rotte musicali; un rinnovarsi e reinventarsi continuo fuggendo gli schemi noti ai più e cercando di allargare lo schema del metal dopo aver inglobato evidenti influenze esterne, facendo sì che il tutto suonasse omogeneo, per un risultato finale che altro non si può definire che vincente. Sono gli Enslaved e “RIITIIR” è l’ennesima gemma del loro repertorio.