9.0
- Band: ENSLAVED
- Durata: 00:44:43
- Disponibile dal: 02/10/2020
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Gli Enslaved sono reduci da una serie di album di una qualità media elevatissima anche se, da “RIITIIR” del 2012, non hanno inserito novità rivoluzionarie in un suono che, già di per sé, è comunque da anni articolato e complesso. Il nuovo “Utgard” è, invece, un passo in avanti gigantesco, forse il più lungo che la band norvegese abbia compiuto tra due dischi consecutivi, in un processo di evoluzione che non si è mai fermato. Non si spaventino coloro che dai cinque vichinghi vorrebbero solo black metal: la fiamma nera è vivida nei solchi di questo lavoro e l’approccio è quello di sempre; è impossibile, però, non notare come i musicisti di Bergen abbiano composto il loro album più eterogeneo e variegato. Che la band potesse avere un’evoluzione lo si intuiva già dai primi album, almeno da “Frost”; più difficile era capire verso quali lidi il loro suono si sarebbe potuto spostare: ebbene, il luogo di approdo dei norreni è del tutto inaspettato (o perlomeno lo era alla partenza del loro viaggio) e “Utgard” è qui a mostrarcelo in tutta la sua magnificenza. Da un punto di vista prettamente musicale, siamo di fronte ad un caleidoscopio di suoni: si passa da un brano tirato come “Jettegryta” (il più vicino ad un black metal canonico di tutto il lotto, se così si può definire) a “Homebound”, primo singolo, psichedelico e con suoni vicini agli anni ’70, fino a “Sequence”, brano dal taglio molto prog che non a caso vede come ospite alle percussioni e alle tastiere Martin Horntveth dei Jaga Jazzist. “Flight Of Thought And Memory” è per buona parte basata su riff ed intrecci tra chitarra e batteria che si avvicinano alla NWOBHM, prima del finale quasi ambient. Rispetto al passato si fa un uso più massiccio di voci pulite accanto al tipico cantato aggressivo dei nostri: la conclusiva “Distant Seasons” in particolare è una semi-ballata prog con suoni e voce molto evocativi. Simbolo di questa commistione tra vecchio e nuovo è anche l’opener “Fires In The Dark”: un coro che rimanda agli antichi splendori lascia il posto ad una chitarra acustica che a sua volta si stempera in un riff mai sentito prima in un pezzo degli Enslaved. Ma il vero fiore all’occhiello è “Urjotun”, scelto come terzo singolo ad anticipare l’uscita del disco e per il quale Grutle si sbilancia entusiasticamente in questo modo: “Il nostro amore per la scena krautrock e per band come Tangerine Dream e Kraftwerk finalmente trova spazio in una canzone degli Enslaved, quasi trent’anni dopo aver ascoltato quegli album. E’ curioso che in Germania chiamino questa musica ‘Kosmische Musik’ (musica cosmica) e questo è proprio ciò di cui parla il pezzo: il caos cosmico!“. I brani sono più corti rispetto al recente passato: l’impressione è che questa focalizzazione sia dovuta ad una chiarezza di idee a livello musicale che ha fatto in modo di avere pezzi completi in uno spazio temporale più ridotto. Una delle ragioni di questo massiccio avanzamento potrebbe essere l’inserimento ormai totale del tastierista Håkon Vinje, proveniente dai conterranei progsters Seven Impale, che contribuisce anche alle clean vocals: probabilmente è ormai entrato in modo organico nel tessuto connettivo della band e gli altri componenti ne parlano in modo entusiastico. Anche a livello tematico, l’album ha un significato estremamente profondo e studiato e può essere considerato come una sorta di seguito del precedente “E”: quest’ultimo era ambientato nella casa degli dei, mentre Utgard è ciò che sta all’esterno, una terra dominata dai giganti e da forze fuori controllo; ciò è visto come una metafora di un viaggio attraverso le parti più oscure e sconosciute dell nostro inconscio. Questo non-mondo è rappresentato anche nella suggestiva copertina (realizzata, come ormai da “Monumension” del 2001, dall’artista Truls Espedal), che vede i corvi di Odino osservare la dimora degli dei aldilà del suo ingresso, dove il caos regna incontrastato. E’ incredibile come una band con un così lungo passato alle spalle abbia ancora la voglia di sperimentare in modo profondo e ambizioso (come potrebbero fare delle giovani leve quali gli Oranssi Pazuzu, per esempio), tanto da firmare uno dei capisaldi della propria carriera al quindicesimo album: come cambiare totalmente pur rimanendo fedeli a se stessi. A questo punto rimane solo una domanda: cosa verrà dopo?